venerdì 25 novembre 2022
LA SOVRANITA' PERDUTA (E RITROVATA) NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO
Ciclo sulle Vetrate di S. Maria Segreta a Milano - Poesia di P. NICOLA GALENO OCD
LA BEATA MARIA ANNA SALA 80418
Entri nel fior degli anni
tra quelle Marcelline,
che avvinsero il tuo cor.
In lor vedevi intensa
vita interior e azione
educativa insieme.
Dovunque tu sapesti
serenità portare:
viveva il Cristo in te!
(Milano 4-8-2017), Padre Nicola Galeno
mercoledì 23 novembre 2022
Ciclo sulla vita di S. COLOMBANO (Tele di Felice Vanelli) didascalie poetiche di P. Nicola Galeno OCD
Colombano era nato intorno all’anno 543 nella provincia di Leinster, nel sud-est dell’Irlanda.
Educato nella propria casa da ottimi maestri che lo avviarono allo studio delle arti liberali, si affidò poi alla guida dell’abate Sinell della comunità di Cluain-Inis, nell’Irlanda settentrionale, ove poté approfondire lo studio delle Sacre Scritture. All’età di circa vent’anni entrò nel monastero di Bangor nel nord- est dell’isola, ove era abate Comgall, un monaco ben noto per la sua virtù e il suo rigore ascetico. In piena sintonia col suo abate, Colombano praticò con zelo la severa disciplina del monastero, conducendo una vita di preghiera, di ascesi e di studio. Lì fu anche ordinato sacerdote. La vita a Bangor e l’esempio dell’abate influirono sulla concezione del monachesimo che Colombano maturò col tempo e diffuse poi nel corso della sua vita.
All’età di circa cinquant’anni, seguendo l’ideale ascetico tipicamente irlandese della «peregrinatio pro Christo», del farsi cioè pellegrino per Cristo, Colombano lasciò l’isola per intraprendere con dodici compagni un’opera missionaria sul continente europeo. Dobbiamo infatti tener presente che la migrazione di popoli dal nord e dall’est aveva fatto ricadere nel paganesimo intere Regioni già cristianizzate. Intorno all’anno 590 questo piccolo drappello di missionari approdò sulla costa bretone. Accolti con benevolenza dal re dei Franchi d’Austrasia (l’attuale Francia), chiesero solo un pezzo di terra incolta. Ottennero l’antica fortezza romana di Anne-gray, tutta diroccata ed abbandonata, ormai coperta dalla foresta. Abituati ad una vita di estrema rinuncia, i monaci riuscirono entro pochi mesi a costruire sulle rovine il primo eremo. Così, la loro rievangelizzazione iniziò a svolgersi innanzitutto mediante la testimonianza della vita. Con la nuova coltivazione della terra cominciarono anche una nuova coltivazione delle anime. La fama di quei religiosi stranieri che, vivendo di preghiera e in grande austerità, costruivano case e dissodavano la terra, si diffuse celermente attraendo pellegrini e penitenti. Soprattutto molti giovani chiedevano di essere accolti nella comunità monastica per vivere, come loro, questa vita esemplare che rinnovava la coltura della terra e delle anime. Ben presto si rese necessaria la fondazione di un secondo monastero. Fu edificato a pochi chilometri di distanza, sulle rovine di un’antica città termale, Luxeuil. Il monastero sarebbe poi diventato il centro dell’irradiazione monastica e missionaria di tradizione irlandese sul continente europeo. Un terzo monastero fu eretto a Fontaine, un’ora di cammino più a nord.
A Luxeuil Colombano visse per quasi vent’anni. Qui il santo scrisse per i suoi seguaci la Regula monachorum per un certo tempo più diffusa in Europa di quella di san Benedetto disegnando l’immagine ideale del monaco. È l’unica antica regola monastica irlandese che oggi possediamo. Come integrazione egli elaborò la Regula coenobialis, una sorta di codice penale per le infrazioni dei monaci, con punizioni piuttosto sorprendenti per la sensibilità moderna, spiegabili soltanto con la mentalità del tempo e dell’ambiente. Con un’altra opera famosa intitolata De poenitentiarum misura taxanda, scritta pure a Luxeuil, Colombano introdusse nel continente la confessione e la penitenza private e reiterate; fu detta penitenza «tariffata» per la proporzione stabilita tra gravità del peccato e tipo di penitenza imposta dal confessore. Queste novità destarono il sospetto dei vescovi della regione, un sospetto che si tramutò in ostilità quando Colombano ebbe il coraggio di rimproverarli apertamente per i costumi di alcuni di loro. Occasione per il manifestarsi del contrasto fu la disputa circa la data della Pasqua: l’Irlanda seguiva infatti la tradizione orientale in contrasto con la tradizione romana. Il monaco irlandese fu convocato nel 603 a Châlon-sur-Saôn per rendere conto davanti a un sinodo delle sue consuetudini relative alla penitenza e alla Pasqua. Invece di presentarsi al sinodo, egli mandò una lettera in cui minimizzava la questione invitando i Padri sinodali a discutere non solo del problema della data della Pasqua, problema piccolo secondo lui, «ma anche di tutte le necessarie normative canoniche che da molti cosa più grave sono disattese» (cfr Epistula II,1).
Contemporaneamente scrisse a Papa Bonifacio IV come qualche anno prima già si era rivolto a Papa Gregorio Magno (cfr Epistula I) per difendere la tradizione irlandese (cfr Epistula III).
Intransigente come era in ogni questione morale, Colombano entrò poi in conflitto anche con la Casa reale, perché aveva rimproverato aspramente il re Teodorico per le sue relazioni adulterine. Ne nacque una rete di intrighi e manovre a livello personale, religioso e politico che, nell’anno 610, si tradusse in un decreto di espulsione da Luxeuil di Colombano e di tutti i monaci di origine irlandese, che furono condannati ad un definitivo esilio. Furono scortati fino al mare e imbarcati a spese della corte verso l’Irlanda. Ma la nave si incagliò a poca distanza dalla spiaggia e il capitano, vedendo in ciò un segno del cielo, rinunciò all’impresa, per paura di essere maledetto da Dio, riportò i monaci sulla terra ferma. Essi, invece di tornare a Luxeuil, decisero di cominciare una nuova opera di evangelizzazione. Si imbarcarono sul Reno e risalirono il fiume. Dopo una prima tappa a Tuggen presso il lago di Zurigo, andarono nella regione di Bregenz presso il lago di Costanza per evangelizzare gli Alemanni.
Poco dopo però Colombano, a causa di vicende politiche poco favorevoli alla sua opera, decise di attraversare le Alpi con la maggior parte dei suoi discepoli. Rimase solo un monaco di nome Gallus; dal suo eremo si sarebbe poi sviluppata la famosa abbazia di Sankt Gallen, in Svizzera. Giunto in Italia, Colombano trovò un’accoglienza benevola presso la corte reale longobarda, ma dovette affrontare subito difficoltà notevoli: la vita della Chiesa era lacerata dall’eresia ariana ancora prevalente tra i longobardi e da uno scisma che aveva staccato la maggior parte delle Chiese dell’Italia settentrionale dalla comunione col Vescovo di Roma. Colombano si inserì con autorevolezza in questo contesto, scrivendo un libello contro l’arianesimo e una lettera a Bonifacio IV per convincerlo a fare alcuni passi decisi in vista di un ristabilimento dell’unità (cfr Epistula V). Quando il re dei longobardi, nel 612 o 613, gli assegnò un terreno a Bobbio, nella valle del Trebbia, Colombano fondò un nuovo monastero che sarebbe poi diventato un centro di cultura paragonabile a quello famoso di Montecassino. Qui giunse al termine dei suoi giorni: morì il 23 novembre 615 e in tale data è commemorato nel rito romano fino ad oggi.
Il messaggio di san Colombano si concentra in un fermo richiamo alla conversione e al distacco dai beni terreni in vista dell’eredità eterna. Con la sua vita ascetica e il suo comportamento senza compromessi di fronte alla corruzione dei potenti, egli evoca la figura severa di san Giovanni Battista. La sua austerità, tuttavia, non è mai fine a se stessa, ma è solo il mezzo per aprirsi liberamente all’amore di Dio e corrispondere con tutto l’essere ai doni da lui ricevuti, ricostruendo così in sé l’immagine di Dio e al tempo stesso dissodando la terra e rinnovando la società umana. Cito dalle sue Instructiones: «Se l’uomo userà rettamente di quelle facoltà che Dio ha concesso alla sua anima allora sarà simile a Dio. Ricordiamoci che gli dobbiamo restituire tutti quei doni che egli ha depositato in noi quando eravamo nella condizione originaria. Ce ne ha insegnato il modo con i suoi comandamenti. Il primo di essi è quello di amare il Signore con tutto il cuore, perché egli per primo ci ha amato, fin dall’inizio dei tempi, prima ancora che noi venissimo alla luce di questo mondo» (cfr Instr. XI). Queste parole, il santo irlandese le incarnò realmente nella propria vita. Uomo di grande cultura scrisse anche poesie in latino e un libro di grammatica si rivelò ricco di doni di grazia. Fu un instancabile costruttore di monasteri come anche intransigente predicatore penitenziale, spendendo ogni sua energia per alimentare le radici cristiane dell’Europa che stava nascendo. Con la sua energia spirituale, con la sua fede, con il suo amore per Dio e per il prossimo divenne realmente uno dei Padri dell’Europa: egli mostra anche oggi a noi dove stanno le radici dalle quali può rinascere questa nostra Europa.
Autore: Papa Benedetto XVI (udienza generale 11.06.2008)
sabato 19 novembre 2022
SAN RAFFAELE DI SAN GIUSEPPE (JOSEF KALINOWSKI)
venerdì 18 novembre 2022
SULLE CENERI DELLA GIUSTIZIA NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO
venerdì 11 novembre 2022
IL PADRE DI CASSANDRA E L'AMICO CALCIATORE di Padre MAURO ARMANINO
Il padre di Cassandra e l’amico calciatore
Era un nome che gli piaceva e allora suo padre l’ha chiamata Cassandra che, nella mitologia greca, era una temibile veggente mai ascoltata. Era nata in Tunisia dove prima il padre e poi la madre, entrambi della Costa d’Avorio, avevano migrato con l’idea di raggiungere l’Italia. Suo padre, cantante di professione, era partito in aereo fino a Tunisi e poi, nell’attesa di imbarcarsi, lavorava cantando da manovale nei cantieri della città. Sua moglie l’ha raggiunto con un amico e assieme, dopo la nascita della bimba, hanno più volte tentato il mare. Una sola volta sono stati riportati a terra dalla guardia costiera tunisina. Avevano speso all’incirca 1 200 euro a persona mentre il posto per Cassandra era gratis. Le altre volte i ‘passeurs’ sono scomparsi coi soldi o le cose andavano storte. Così, visti i ripetuti fallimenti, hanno scelto di contattare l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, OIM, onde tornare al Paese di partenza, la Costa d’Avorio.
Partono quasi subito la madre e la piccola Cassandra che aveva visto giusto fin dall’inizio e, parlando come poteva, consigliava di tornare a casa perché il viaggio non sarebbe andato bene. L’amico del padre, pure lui ivoriano, lavorava in campagna come contadino, coltivando legumi e giocando a calcio i fine settimana. Gli dicevano che era bravo e lui, di nome Aimè, si è fatto confezionare un nuovo documento di identità e ha raggiunto la Tunisia. Si vedeva ad occhio nudo che la sua data di nascita e il volto piuttosto adulto che indossava non coincidevano affatto. Sapeva per sentito dire che le squadre in Europa ingaggiano solo i giovani. Comunque sia, assieme alla piccola Cassandra e i suoi genitori, hanno tentato, fallendo, la traversata del Mediterraneo. Anche lui dunque, Amato com’è, pensa che sia l’ora di tornare al suo Paese.
Aimè e l’amico Niçoise, padre di Cassandra, si stancano di attendere i tempi biblici per il rimpatrio firmato OIM e partono per l’Algeria pensando che in questo Paese le procedure di rimpatrio siano più celeri. Dopo essere stati espulsi una volta dall’Algeria vi ritornano e si accorgono che la tempistica dell’istituzione per i migranti è la stessa dappertutto. Dopo qualche settimana, vengono a sapere che, ad Algeri, esiste un’associazione che aiuta i migranti al rimpatrio assistito. Iniziano il viaggio di ritorno via deserto e il camion che li trasporta accusa due guasti. Entrambi, unanimemente, assicurano che solo Dio, inspiegabilmente ha messo in moto il motore che si è definitivamente fermato non appena raggiunta Assamaka, la città di frontiera con Niger. Per raggiungere Arlit e poi Agadez hanno pregato i conducenti e venduto il paio di scarpe nuove che avevano custodito nel bagaglio. Prima di arrivare a Niamey, la capitale, ad un posto di blocco i poliziotti hanno esatto quanto rimaneva loro in tasca: 75 centesimi di euro.
Prima di partire il papà di Cassandra assicura che, appena tornato, cambierà il nome di sua figlia.
Mauro Armanino, Niamey, 13 novembre 2022
sabato 5 novembre 2022
FRONTIERE UMANITARIE E SOCIETA' CIVILI NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO
Frontiere umanitarie e società civili nel Sahel
Le frontiere, in questo mondo finto-globalizzato, giocano vari ruoli e cambiano di aspetto a seconda delle circostanze e degli interessi del momento. Sono simboli e confini determinati della sovranità nazionale così come concepita e interpretata da qualche decennio a questa parte. Respingono, filtrano, facilitano, selezionano, giudicano, oppongono, interpretano e, non raramente, si armano e uccidono. Nel Sahel, come ricordano opportunamente alcuni ricercatori, le nostre frontiere sono ‘umanitarie’. Infatti, è per il bene vitale dei migranti, rifugiati, mendicanti o semplici avventurieri, che le frontiere si chiudono e il diritto alla mobilità è puramente e semplicemente confiscato. L’Europa, ad esempio, ha elargito milioni di euro al governo del Niger con lo scopo, neppure troppo nascosto, di fermare o ridurre il movimento migratorio verso il Nord Africa e dintorni. Si rendono praticamente impossibili i visti di ingresso nello spazio Schengen, vengono ‘criminalizzati’ i viaggiatori, sono sotto controllo militare le vie d’accesso più comuni e, infine, si costruisce la retorica umanitaria di salvare le vittime dei lager in Libia, creati e finanziati dall’Europa stessa.
Per condurre e, se possibile, portare a termine questa operazione altamente ‘umanitaria’, cioè salvare dalla perdizione chi cerca legittimamente un futuro differente, i poteri costituiti, da una parte e dall’altra del Mediterraneo, si affidano alle ‘società civili’. Queste ultime, cresciute a dismisura in questi ultimi decenni, sono per così dire il ‘braccio armato’ di ogni sorta di politiche volte a modellare la società secondo i dettami del potere. Sia esso il famigerato cambiamento climatico, la gestione delle migrazioni, l’uso delle risorse minerarie, la partecipazione politica dei cittadini e, ciliegina sulla torta, i ‘diritti umani’, le società civili sono come la cinghia di trasmissioni dei politici. Le associazioni, le ONG nazionali, regionali, Internazionali e globali sono là per arrivare dove partiti e istituzioni ‘normali’, compresi i parlamenti, non possono o vogliono arrivare. Possiedono una relativa libertà di manovra, non rendono conto a nessuno del loro operato e maneggiano cospicui capitali umani e finanziari. Formano come un esercito di contrattuali o ditte di appalto a cui demandare politiche, valori e strategie di intervento ‘democraticamente partecipativo’.
Le società civili, specie se radicate nel tessuto locale malgrado i finanziamenti esteriori, si presentano con un viso autoctono e dunque come una garanzia di fedeltà a pratiche certificate. Tutto ciò i politici lo sanno e per questo, con sagacia operativa, infiltrano le società civili con stile mafioso e creano realtà parallele alle esistenti impegnate nel cambiamento. Con le società civili ci troviamo dunque di fronte allo stesso mondo alieno che di civile ha molto poco. Le associazioni o ONG che intraprendono cammini alternativi di pensiero e di pratica vengono tenute d’occhio dal sistema e i leader delle stesse non raramente conoscono il colore e il sapore delle prigioni di stato. Spesso, a parte i militanti più seri, il transito in questi luoghi di ‘redenzione e rieducazione’, chi ne esce vivo sarà tenuto a comportarsi come conviene al sistema. Dividere per imperare è una pratica che ha dato i suoi frutti e, anche per questo, le società civili sono da tempo un bottino privilegiato per i cacciatori di potere. Distinguere i venduti e i collaborazionisti col sistema dai veri trasformatori non è troppo difficile. ‘Dimmi chi escludi e ti dirò chi sei’, ricordava il buon don Andrea Gallo di Genova. Parafrasandolo potremmo dire, ‘dimmi chi ti finanzia e ti dirò chi sei’.
Ndr: un altro aforisma di Don Andrea Gallo, che mi pare adeguato a quanto scrive Padre Mauro Armanino.
Mauro Armanino, Niamey, 6 novembre 2022
VISITA AI CONFRATELLI SEPOLTI NEL CIMITERO MONUMENTALE DI LEGNANO - Foto e Didascalie poetica di P. NICOLA GALENO OCD
mercoledì 2 novembre 2022
GESU' CHE SULLA TOMBA...e anche i fiori sanno piangere sui loro morti - di PADRE NICOLA GALENO OCD
GESU' CHE SULLA TOMBA 17
(UFFICIO DEI DEFUNTI)
Gesù , che sulla tomba dell'amico
Lazzaro non trattieni un caldo pianto,
di Marta e di Maria l'esitante
Fede sai ravvivare con vigor.
*
Gesù , noi pur gemiamo nel dolore.
La dipartita di congiunti cari,
persone a noi vicine pei legami
dell'amicizia, svuota il nostro cuor.
*
Gesù , che sei l'emblema della vita
fulgida che trionfa sulla morte,
accogli nel tuo regno sempiterno
quanti son generati dall'Amor!
*
Al Padre, Figlio e Spirito si levi
con rinnovato giubilo la lode
e non conosca soste in Cielo e in terra
il sempiterno cantico d'Amor! - Amen.
(Oita 15-11-1994), Padre Nicola Galeno
Ciclo sul Pianto dei Fiori nel giorno dei Morti
Anche i fiori
(e forse meglio di noi)
sanno piangere sui loro morti…
(Legnano 1-11-2022), Padre Nicola Galeno