AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

sabato 30 ottobre 2021

COSPIRATORI DI SABBIA di PADRE MAURO ARMANINO


Cospiratori di sabbia 

Lei, la sabbia, è una buona insegnante davvero. Ci mette ogni giorno di fronte alla nostra inevitabile, fragile e umana verità. I cimiteri contengono un numero indefinito di progetti di cambiamento imperituro del tipo programma agricolo del ‘Rinascimento’ detto le tre Enne. I Nigerini che (si) Nutrono dei Nigerini che va avanti da vari anni e ancora sono promesse carestie per milioni di persone. Vedeste come finiscono i piani di sviluppo autocentrato e gli imperi dalle nostre parti. Lasciate passare un po' di tempo e la sabbia tutto coprirà col suo manto dorato che s’illumina d’immenso al cadere del giorno. Palazzi, crocevia, semafori, cavalcavia, mercati e negozi che sembravano eterni sono spazzati via dal vento e dal tempo che, almeno qui, si misura ancora con la sabbia. Ci sono, riconosciamolo, lodevoli e disperati tentativi di programmazione, promozione e gestione di strategie di crescita economica. Esse durano, quanto basta, per illudere  gli incauti donatori che ancora credono alle scadenze delle tabelle e degli algoritmi dell’occidente.

Lei, la sabbia, è una buona insegnante davvero. Ci mette ogni giorno di fronte alla materialità storica che contraddistingue e accompagna la nostra fugace esistenza. Da questo punto di vista è onestamente rivoluzionaria perché riporta alla verità delle parole e delle cose che la ‘dematerializzazione’ impone dappertutto. Si dematerializzano i soldi, i corpi, i centri di potere e le religioni che dovrebbero sparire perché inutili paradisi d’altre epoche. La sabbia contesta, impolvera, fragilizza e fa naufragare questi tentativi che altrove sembrano coronati da successo. La nostra sabbia è carnale perché evidenzia ciò di cui siamo fatti, e ciò cui torneremo, un giorno qualunque. Qui amiamo ancora le mitiche monete sonanti, la carta moneta che porta le impronte del lavoro, dello scambio, del baratto, del sudore e della fatica. Una banconota che passa di mano in mano e si sporca e si stropiccia nelle tasche del muratore, del contadino o della donna che vive nella strada. Da noi i corpi sono ancora di carne e si stancano, soffrono, muoiono per mancanza di cibo, malattie e attenzione. Sono corpi che hanno un peso e una storia che non appare sbiadita come succede nelle finzioni televisive. I centri di potere, così come le industrie di estrazione e trasformazione, si delocalizzano e si allontano dagli sguardi indagatori dei pochi democratici che restano.

Lei, la sabbia, è una buona insegnante davvero. Ci mette ogni giorno di fronte alla nostra umana nudità sempre in bilico tra mendicanza e cecità. Ci aiuta a non barare con la vita perché costringe a cogliere l’essenziale della nostra identità di polvere che il vento trasporta altrove. Non ama le distanziazioni, né sociali né politiche perché si fa prossimo di tutti a cominciare dai poveri che della sabbia sono i più grandi sostenitori. Loro e la sabbia hanno in comune il trovarsi in basso, calpestati e spesso neppure presi in considerazione come marginali. La sabbia ha in orrore l’astrazione, la presa in ostaggio delle parole da parte dei potenti e l’allontanamento dalla stoltezza della pura materiale spiritualità delle cose. Non si lascia illudere da chi promette un futuro radioso che mai si avvicina al presente di un volto da carezzare o labbra da ricordare. La sabbia accoglie cospiratori che, come lei, sanno nascondere e custodire il seme dell’unica ribellione che meriti questo nome. Hanno imparato a chiamarla libertà.

                                                                                                                Mauro Armanino, Niamey, 31 ottobre 2021


sabato 23 ottobre 2021

LE TRE FRONTIERE DEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

 


Le tre frontiere del Sahel

…’È la zona, oggi, nella quale abbiamo più vulnerabilità, dove le popolazioni sono veramente nel bisogno, spogliate di tutto, con persone sfollate e dove i bisogni sociali sono enormi. Pertanto il programma che abbiamo lanciato è destinato a dotare le popolazioni di dispensari, scuole e, cosa ancora più importante, di pozzi’, spiega Mikailou Sidibé, capo del dipartimento strutture del G5 Sahel. Sidibé allude a un finanziamento del governo tedesco che, nel quadro del G5 Sahel, (forza congiunta di militari della Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Chad), darà la priorità alle popolazioni vittime del terrorismo. La zona scelta è quella di Liptako-Gourma chiamata delle ‘tre frontiere’: Burkina-Mali-Niger, dove la presenza dei gruppi terroristi accentua la povertà e l’insicurezza. In realtà le tre frontiere sono altre!

La prima è quella dell’ipocrisia bellico-umanitaria e che consiste, come da copione di un film già visto altrove, nel preparare il terreno alla creazione del caos, facilitarne il mantenimento e infine arrivare, tramite gli attesi finanziamenti, come i salvatori della patria. Fuochisti e pompieri, secondo le convenienze, per ‘attirare’ fondi, finanziamenti per progetti di sviluppo, esattamente come per i Gruppi Armati Terroristi e le ‘Forze Regolari’, di militari locali e stranieri. Commerci, armi e geopolitiche delle risorse si aggrovigliano per formare un fronte unico: finché c’è guerra c’è futuro per i fabbricanti di guerre.

Analogamente, accade lo stesso processo nel delicato ambito migratorio. Prima si crea la frontiera esteriore dell’Europa nel Sahel, impedendo ‘manu militari’, la libera mobilità dei migranti e,  in cambio, si introducono piani fasulli di sviluppo, chiamati ‘Fondi Fiduciari’, che vanno alle ‘radici profonde delle migrazioni’. La logica è la stessa di cui sopra: solo cambia il settore d’intervento, gli attori e i necessari dispositivi di applicazione, anzitutto, con la fabbricazione e l’imposizione di un concetto applicabile ed esportabile di ‘frontiere’. Seguono poi i meccanismi di formazione e di gestione delle stesse,  con EUCAP Sahel (Missione civile di sostegno alle capacità di sicurezza interiore),  l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, OIM, per i rimpatri (naturalmente volontari) e infine il mondo umanitario. Quest’ultimo si occupa, grazie ancora ai finanziamenti europei, di lenire le ferite della carne dei migranti, senza beninteso mettere in discussione il sistema che produce ciò. Questa è la seconda frontiera del Sahel. 

La terza frontiera, invece, somiglia paurosamente a un abisso che separa, attraversandolo da cima a fondo, il mondo stesso. Un abisso che, come nella nota parabola del ricco che banchetta quotidianamente con gli amici nel suo palazzo e del povero Lazzaro che, invisibile ai suoi occhi, giace alla porta cercando di sfamarsi con le briciole che cadono dalla sua mensa. L’abisso esiste e cresce grazie anche alla globalizzazione dell’invisibilità dei numerosi ‘Lazzaro’ che oggi assumono l’onore e l’onere di trasformare il mondo, a partire dalla debolezza. L’abisso tra Nord e Sud non è solo tra i continenti ma si riproduce all’interno degli stessi continenti, nei Paesi, nelle città e nelle campagne dimenticate, tra le generazioni e infine nello spirito umano più profondo chiamato cuore. Questa terza frontiera, l’abisso, è quella che rappresenta il modello e la produzione delle altre due, precedentemente citate. In genere si manifesta all’esterno con muri, reticolati, campi di detenzione, cimiteri delocalizzati e confinamenti di popoli interi. 

Ecco perché i guardiani delle radici e i costruttori di ponti sono visti dall’abisso come una minaccia. Solo da loro germoglia il futuro della quarta frontiera chiamata utopia.

Mauro Armanino, Niamey, 24 ottobre 2021

venerdì 22 ottobre 2021

RICORRENZA DI SAN GIOVANNI PAOLO II PAPA - Poesie di P. NICOLA GALENO OCD


SGUARDO AL MONDO

Pontefice che sembri ricercare
con l’occhio tuo profondo dove spiri
il soffio dello Spirito che guida
l’umile navicella della Chiesa…
(Parma 26-5-2005)

PAPA GIOVANNI PAOLO II

Fido nocchiero fosti della Chiesa
lungo la traversata della storia,
scrivendo la tua pagina più bella
con l’adesione piena al Cristo in Croce!
(Legnano 21-3-2007)

PAPA GIOVANNI PAOLO II

Papa dei tempi nuovi, che vedesti
crollar regimi ritenuti eterni,
pagasti di persona... Sol Maria
ti seppe dalla morte preservare
fermando la pallottola fatale!
(Ferrara 1-7-2010)

 GIOVANNI P. II IN PREGHIERA

Spontaneo ci prende un gran tremore…
Chi mai disturberebbe questo Papa
inabissato nell’adorazione?
(Parma 26-8-2011)

ACCATTIVANTE 

(Davanti alla statua di Papa Giovanni Paolo II a Sorrento) 

  È sempre accattivante il dolce sguardo
di chi sfidò tempeste nella vita:
“Il Cristo sempre alfine vincerà!”.
(Sorrento 27-3-2012)

IL BEATO GIOVANNI PAOLO II

Ardimentoso nocchiero tu fosti
di questa navicella della Chiesa...
(Piano di Sorrento 1-6-2012)

IL BEATO GIOVANNI PAOLO II

Sembri guardar lontano per aprire
a questa navicella della Chiesa
le rotte che la Provvidenza ispira...
(Napoli 12-6-2012)

IL BEATO GIOVANNI PAOLO II

Tu fosti infaticabil messaggero
del Cristo, sommo autore di salvezza...
(Maddaloni 4-3-2013)

PAPA GIOVANNI PAOLO II

(Davanti alla statua di Enrico Manfrini) 

Scultore, tu volesti condensare
lo sguardo, che si lancia nel futuro
serbando l’interiore pacatezza,
frutto di tanto dialogo con Dio...
(Ferrara 26-11-2015)
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PADRE NICOLA GALENO
 

domenica 17 ottobre 2021

TOTALITARISMI DI SABBIA NEL SAHEL di PADRE MAURO ARMANINO

 


Totalitarismi di sabbia nel Sahel

Pure noi qui, nel nostro piccolo, ci stiamo organizzando per avvicinarci a totalitarismi ben più importanti e affermati altrove. Come per altre realtà, più volte evidenziate, il nostro totalitarismo è di sabbia, cosi come la politica, la Giustizia, l’educazione formale, l’economia e la vita stessa. È ancora lei, la sabbia, a caratterizzare i matrimoni, gli appuntamenti mancati, molte delle amicizie e la vita sociale in generale.  È stato dichiarato lo stato di urgenza in varie regioni del Sahel. Ciò implica, in queste zone, una drastica limitazione all’uso delle motociclette, essendo queste uno dei mezzi più utilizzati dai Gruppi Armati Terroristi per seminare morte e desolazione tra i contadini locali. I banditi si sono adattati e, per esempio in uno degli ultimi massacri che ha insanguinato la zona delle ‘tre frontiere’, sembra abbiano utilizzato persino i dromedari. Si è arrivati all’assurdo che, in definitiva, quasi solo i terroristi utilizzavano, impunemente, le motociclette e i contadini si arrangiavano con gli asini o con le carriole per trasportare i malati al dispensario più vicino. Un camion pieno di legna da ardere, raccolta abusivamente dai contadini per uso della cucina della città, è stato bruciato ieri nei campi. I nuovi padroni della zona hanno proibito di farlo. In molti villaggi di questa e di altre aree, la gente vive nel terrore. Uccisioni e rapimenti sono totalitari 

Il primo e fontale totalitarismo, dalle nostre parti, è comunque quello della miseria, provocata, seminata e infine raccolta in tutti questi anni, soprattutto tramite la violenza armata. Nella zona citata, a circa 150 kilometri dalla capitale Niamey, sono oltre 600 mila le persone che hanno dovuto fuggire case, campi e bestiame rubato e poi venduto altrove. Cresce in tempo reale l’insicurezza alimentare che tocca milioni di persone nel Niger e molte più nel Sahel. La miseria è a sua volta la figlia privilegiata del dio denaro che, con autorevolezza totalitaria, è il principale e ineguagliato colonizzatore dell’immaginario. Non da oggi, infatti, il totalitarismo del denaro si è affermato come un monopolio senza concorrenti di rilievo. Le guerre, le armi, le urgenze umanitarie, i Piani di Aggiustamento Strutturale, l’accaparramento delle risorse, i colpi di stato e le ideologie religiose non sono altro che l’espressione e la conseguenza dell’assunzione del dio denaro come la totalità della storia. Troppo tardi ci si accorge che questo tipo di dio non è altro che sabbia rubata al vento della spietata indifferenza del sistema verniciato di morte. Da questi due totalitarismi, quello della miseria generata e da quello del denaro ne scaturisce per tragico destino uno peggiore.

Si tratta del totalitarismo della banalizzazione di tutto quanto è fragile e inutile, appeso alla sacralità delle parole e dei corpi affidati alla sabbia dei cimiteri senza nome del deserto o del mare. La banalizzazione della sofferenza e della vita di chi non trova abbastanza voce per essere riconosciuto come umano. Il totalitarismo di vite mai vissute eppure uniche. La banalizzazione totalitaria del reale, tradito e manipolato dalla quotidiana menzogna da chi non importa i fatti e i volti, il totalitarismo dei confinamenti, le distanze sociali, e la banalizzazione dell’utopia del poeta, e dell’orizzonte incerto dei profeti. Tra i citati, il totalitarismo della banalità è il più mortifero perché svuota dall’interno il soffio di eterno che risale al primo bacio tra l’umano e il divino in ogni creatura. Rimane infine una maschera tenuta assieme da apparenze barattate in cambio di un’impaurita sicurezza. Un totalitarismo che banalizza quanto accade tra uomo e donna quando germoglia, per causalità, un nuovo destino di alleanza. Anche da noi, nel Sahel ci stiamo organizzando per proporre, a chi vorrà intenderlo, l’unico totalitarismo che sentiamo come nostro. Un totalitarismo di sabbia che le lacrime di un bambino trasformeranno in un albero fiorito.

Mauro Armanino, Niamey - 17 ottobre 2021


Un percorso tra testi Biblici e Coranici di Danila Oppio

 



Un percorso tra testi Biblici e Coranici

Rapimento di Elia (Testo CEI 2008)

Quando il Signore stava per far salire al cielo in un turbine Elia, questi partì da Gàlgala con Eliseo. Elia gli disse: «Rimani qui, perché il Signore mi manda al Giordano». Egli rispose: «Per la vita del Signore e per la tua tessa vita, non ti lascerò». E procedettero insieme.

Cinquanta uomini, tra i figli dei profeti, li seguirono e si fermarono di fronte, a distanza; loro due si fermarono al Giordano. Elia prese il suo mantello, l'arrotolò e percosse le acque, che si divisero di qua e di là; loro due passarono sull'asciutto. Appena furono passati, Elia disse a Eliseo: «Domanda che cosa io debba fare per te, prima che sia portato via da te». Eliseo rispose: «Due terzi del tuo spirito siano in me». Egli soggiunse: «Tu pretendi una cosa difficile! Sia per te così, se mi vedrai quando sarò portato via da te; altrimenti non avverrà». Mentre continuavano a camminare conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elia salì nel turbine verso il cielo. Eliseo guardava e gridava: «Padre mio, padre mio, carro d'Israele e suoi destrieri!». E non lo vide più. Allora afferrò le proprie vesti e le lacerò in due pezzi. Quindi raccolse il mantello, che era caduto a Elia, e tornò indietro, fermandosi sulla riva del Giordano.

Prese il mantello, che era caduto a Elia, e percosse le acque, dicendo: «Dov'è il Signore, Dio di Elia?». Quando anch'egli ebbe percosso le acque, queste si divisero di qua e di là, ed Eliseo le attraversò.

Di questo, che nella Bibbia è definito CARRO DI FUOCO, molte sono state le congetture, tra queste qualcuno sostiene che si trattasse di un veicolo interspaziale, proveniente da altri pianeti più progrediti. Lasciamolo credere, poiché appare abbastanza improbabile che con un carro di fuoco con cavalli altrettanto infuocati, sia possibile portare un essere umano e mantenerlo in vita. Il fuoco, si sa, brucia la materia. Però è anche vero che a Dio tutto è possibile.

Nei Testi Antichi, si leggono storie come questa o quella di Giona nel ventre della balena.

Sono persuasa che siano semplici allegorie, ma ho voluto anticipare Elia e il carro di fuoco, perché pare che in questo modo sia salito presso Dio, ed Eliseo che spartì le acque, assomiglia alla storia di Mosè cui fu concesso di dividere le acque del Mar Rosso. 

Chiaro che entrambi i casi sono allegorie per dimostrare che Dio tutto può fare. Elia che sale in cielo su un carro di fuoco, assomiglia alla risurrezione di Cristo, che, secondo gli scritti dei vangeli, il terzo giorno dopo la deposizione nel sepolcro Gesù risorse (I giorno: venerdì, morte e deposizione; III giorno: domenica, resurrezione). I vangeli canonici non descrivono direttamente l'evento, che non ha avuto testimoni diretti, ma solo la testimonianza della scoperta della sua tomba vuota e le successive apparizioni di Gesù alle discepole e agli apostoli. La scoperta avvenne all'alba del giorno dopo il sabato, cioè domenica mattina, quando Maria Maddalena - sola o con altre donne, secondo il resoconto evangelico - si recò al sepolcro. 

Nessuno quindi fu diretto testimone della risurrezione e Ascensione al cielo di Gesù. E a tale proposito, come immagine del Signore, darei la preferenza al Cristo Risorto, che rappresenta il vero simbolo, l’eternità delle anime, o alla Divina Misericordia, poiché entrambe le immagini offrono serenità, mentre la croce dimostra la cattiveria umana. Forse per questa ragione Mohammad sostiene che Cristo non è morto in croce.

Parto da questo concetto, e proseguo nel trattare della morte di Cristo e della Sua Risurrezione. Bisogna possedere un’immensa fede, nel credere che una persona umana, com’era Gesù, nato da una donna, possa risuscitare dai morti. La fede in un Dio immenso, onnipotente, lo permette. Altro motivo perché il Corano non accetta la morte di Gesù e preferisce sostenere che Lui è salito a Cielo, senza passare attraverso il dolore atroce della condanna. 

Vorrei però entrare nella Storia, senza tener conto, per il momento, di qualsiasi credo religioso.

Sto leggendo un paio di libri scritti da autori islamici moderati. E in un punto particolare, sono rimasta un po’ sconcertata.

“La nostra religione insegna a onorare tutti i Profeti che sono venuti prima di Muhammad (pbsl), sigla di Pace e Benedizione su di Lui, un'eulogia che accompagna ogni menzione del nome di Maometto da parte dei musulmani di lingua italiana.

E specialmente Gesù, che è stato citato nel Corano in 93 versetti  distribuiti in quindici Sûre, mentre c’è addirittura un capitolo (Sura XIX, Maryam) intitolato proprio a sua madre, la vergine Maria. In questa Sura si afferma la venuta di Gesù senza padre, attraverso lo Spirito Santo. Noi musulmani crediamo molto in Gesù e, secondo il Corano, Gesù non è stato crocifisso, ma Dio lo ha assunto in Cielo.

“Li abbiamo maledetti per via della loro miscredenza e perché dissero contro Maria calunnia immensa, e dissero: “abbiamo ucciso Gesù il Messia figlio di Maria, il Messaggero di Allah!”. “Invece non l’hanno ucciso né crocifisso, ma così parve loro. Coloro che sono in discordia a questo proposito, restano nel dubbio: non hanno altra scienza e non seguono altro che la congettura. Per certo non l’hanno ucciso, ma Allah l’ha elevato fino a Sé” (Sura IV, le donne, vv.156-158) e continua il testo:

È assolutamente proibito per noi parlare male e diminuire la personalità di Gesù, anzi, dobbiamo mettere prima del nome Gesù (così come per gli altri Profeti) una parola che significa “signore o maestro” e poi dobbiamo sempre esprimere un saluto di pace (la pace sia con lui).

I musulmani non accettano la bestemmia di Dio, di Gesù Cristo e di sua Madre, come ho appreso è, invece, molto in uso in Italia”. 

Mi fermo qui, perché è questo punto che mi ha suscitato alcune domande. Intanto è vero che i cristiani disamorati di Dio, bestemmiano a piena bocca. Non posso dare torto a Zahoor Zargar che non è certo l’ultimo arrivato.

giovedì 14 ottobre 2021

BEATA MARIA LORENZA LONGO - FONDATRICE DELLE CLARISSE CAPPUCCINE

Venerabile Maria Lorenza Longo, Fondatrice delle Clarisse Cappuccine











Nata come Maria Llorença Requenses Llong (ed italianizzata in Maria Lorenza Longo) a Lleida nell'allora Regno d'Aragona nel 1463, arrivò a Napoli nel 1506 assieme ai tre figli ed al marito Joan Llonc, che era vice-reggente della cancelleria di Ferdinando II d'Aragona e come tale dunque trasferito a Napoli per lavoro. Quattro anni dopo restò vedova e subì anche i danni di un'artrite reumatoide causatole da un avvelenamento che sarebbe stato provocato da una domestica: come tale, non riusciva ad utilizzare mani e piedi e dunque si recò alla Santa Casa di Loreto per richiedere la guarigione con le preghiere, cosa che poi effettivamente avvenne. A quel punto, una volta guarita, entrò nel terz'ordine francescano in segno di devozione e assunse il nome di Maria Lorenza. Tornata a Napoli, dove divenne tutrice e governante di Maria de Cardona, contessa di Avellino, prestando servizio presso l'ospedale di San Nicola al Molo, presso il Maschio Angioino. Ma poi prese la decisione di fondare un nuovo ospedale: il Santa Maria del Popolo degli Incurabili, presso Porta San Gennaro, che venne inaugurato il 23 marzo del 1522 e vi rimase come direttrice per dieci anni. Il 19 febbraio del 1535 decise di fondare un nuovo monastero, quello delle Monache Cappuccine, sottoposto alle regola di Santa Chiara d'Assisi. Morì il 21 dicembre del 1539, all'età di 76 anni, a Napoli. Era stata proclamata Venerabile il 9 ottobre 2017 da Papa Francesco.





In ricordo di DON NELLO - IMOLA



 

mercoledì 13 ottobre 2021

Papa Luciani, riconosciuto il miracolo: sarà proclamato beato



Papa Luciani, riconosciuto il miracolo: sarà proclamato beato

Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto sulla guarigione miracolosa attribuita all’intercessione di Giovanni Paolo I, un Pontefice rimasto nel cuore della gente 


Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

“Un miracolo che dobbiamo alla fede di chi ha pregato attorno al capezzale di questa bambina malata” con gravi problemi neurologici, “in condizioni praticamente disperate”. Così il postulatore della causa di beatificazione di Giovanni Paolo I, il cardinale Beniamino Stella, prefetto emerito della Congregazione per il Clero e originario della Diocesi di Vittorio Veneto, che ha avuto come vescovo Albino Luciani dal 1959 al 1969, parla del miracolo che permetterà presto di venerare come beato il “Papa del sorriso”. Ecco la sua intervista ai media vaticani. 

Il cardinale Beniamino Stella, nella celebrazione dell'anniversario dell'elezione di Giovanni Paolo I, il 26 aprile di quest'anno, a Canale d'Agordo (Belluno)

Ci può dire qualcosa sul miracolo che ci permetterà presto di venerare come beato Giovanni Paolo I?

È un miracolo avvenuto in Argentina, a Buenos Aires, una decina di anni fa. C'era allora una bambina, oggi una ragazza quasi ventenne, che è stata guarita in circostanze straordinarie da problemi neurologici molto seri, in condizioni praticamente disperate. Anche oggi ho visto dei video che la ritraggono mentre cammina, mentre parla, e si vede una ragazza quasi ventenne che sta bene. Lo dobbiamo alla fede di chi ha pregato attorno a questa persona quando era ammalata. È un evento che certamente ha delle caratteristiche straordinarie, perché ci si è dati da fare sul piano medico, ma soprattutto c'è stata una notte, un lungo momento di preghiera, di intercessione, che è ciò che alla fine qualifica un evento di questo genere.

Ci sono i suoi famosi scritti di catechesi, perché come sacerdote e vescovo è stato un catechista, un comunicatore. Lui non era una persona che cercava il microfono, però davanti al microfono nasceva veramente la sua verve, il suo carisma di buon comunicatore, con parole semplici, di grande umanità. Poi il famoso libro “Illustrissimi”: sono decine di lettere, chiamiamole fittizie, che lui ha scritto a grandi personaggi della storia, autori, poeti, narratori, romanzieri e filosofi. Ha scritto queste lettere dove ha messo in luce la sua preparazione letteraria e storica. È un libro che è stato ripubblicato anche recentemente e che dà l'idea di come Papa Luciani fosse uomo di grande cultura, di grande spessore letterario. E poi vorrei menzionare la positio che è stata riscritta per la diffusione pubblica, cioè la biografia ufficiale della postulazione. C'è anche uno scritto che riguarda la morte del Papa. Poi ci sono le sue omelie, che si possono anche ascoltare, perché tante sono state registrate, e poi c'è quel fascicolo che riguarda le sue omelie e i suoi discorsi come Pontefice. È un fascicoletto di 100-130 pagine, piccolino, e anche lì si vede un Papa molto molto semplice, con un buon spessore teologico, che parla con il popolo di Dio, si fa capire, si fa amare. Così c’è modo di conoscerlo: è un Pontefice che si può accostare e che si farà amare anche dalla lettura di ciò che ha lasciato, come scritti, come omelie e anche come audio e video del tempo del suo pontificato.

La casa, tre anni fa è stata acquistata dalla Diocesi di Vittorio Veneto. Io ho potuto mettere a disposizione la somma che era necessaria e ho accettato che se ne desse notizia ad agosto di quest’anno, al compimento dei miei 80 anni. Ho detto che ad 80 anni uno deve essere anche leggero davanti a Dio, quindi ho detto che si poteva raccontare di questa transazione tra la diocesi e i nipoti di Papa Luciani. La casa era in vendita e bisognava fare presto, perché si vedeva ormai abbastanza chiaro l'itinerario verso gli altari e quindi ritenni che era importante che si potesse acquistare quella casa. Ho dato una mano alla mia diocesi, che oggi ne ha la proprietà, e ha fatto anche lavori di restauro. Ora penso che si stia lavorando anche sul giardino antistante, proprio per rendere la casa, in occasione della futura beatificazione, visibile e fruibile. E credo che questa casa sarà meta di visite di tanti pellegrini, perché Canale d'Agordo è un paesino che ha questa memoria forte del suo concittadino e quindi penso che la futura beatificazione aumenterà questo andare del popolo cristiano verso le radici di questo Pontefice, Giovanni Paolo I.

Certo, lui ha vissuto intensamente la propria storia familiare, con i genitori, poi con i fratelli, sorelle e nipoti. È sempre andato, anche quando era vescovo, patriarca e cardinale, a rivedere questa che è stata la sua casa natale. Se uno la visita trova ancora la stanza dove lui è nato. C'è la stufa, ci sono tanti ricordi e c’è anche la stanza dove lui andava e si ritirava talvolta per qualche breve soggiorno da vescovo e da cardinale. Vale la pena andare in questo luogo, là tra le Dolomiti, sono luoghi molto belli e molto cari: Canale d'Agordo è una meta turistica, ma soprattutto di pellegrinaggio che rinverdirà, io penso, anche la fede di tanti pellegrini.

Falasca: l’arte di Giovanni Paolo I, parlare con semplicità nella verità

La giornalista e scrittrice Stefania Falasca, che per 15 anni ha studiato, come vicepostulatrice, in più di 70 archivi, tutti i documenti riguardanti Giovanni Paolo I, parla delle virtù del “Papa del sorriso”. La semplicità, l’umiltà, ma anche la capacità comunicativa, da grande catechista, delle verità della fede, “nell’assoluta coincidenza tra quanto insegnava e quanto viveva”

Papa Luciani aveva fatto propria “l’arte di conversare semplicemente con gli uomini” di cui parla Sant’Agostino, per “far arrivare a tutti il messaggio di salvezza, e così rispettando la verità, “che deve essere capita da tutti”.

 Stefania Falasca, vaticanista e scrittrice, ha lavorato dal 2006, conclusa l’inchiesta diocesana, come vicepostulatrice della causa di beatificazione di Giovanni Paolo I, accanto ai postulatori salesiani don Pasquale Liberatore e monsignor Enrico Dal Covolo, e poi al cardinale Beniamino Stella, che si sono succeduti nell’incarico fino ad oggi. Un lungo e impegnativo studio delle fonti documentarie su Albino Luciani, che la porta a sottolineare ora, nell’intervista ai media vaticani, innanzitutto la “semplicità evangelica” di Albino Luciani, e la sua capacità di comunicare a tutti “la sostanza del Vangelo”, “nell’assoluta coincidenza tra quanto insegnava e quanto viveva”. 

È un viaggio che è durato 15 anni, dalla fine dell'inchiesta diocesana. Si è fatta un’investigazione archivistica che ha interessato più di 70 archivi in diverse località, quindi è stato profuso un notevole impegno proprio nel reperimento delle fonti con le quali si può parlare davvero, con cognizione di causa, riguardo a quello che è stato Giovanni Paolo I, il suo pontificato, tutta la sua vita e la sua opera. È un lavoro di paziente ricerca che fin dall'inizio della fase romana del processo mi ha coinvolto. Si deve sottolineare anche il significato storico e storiografico di questo lavoro, che non era mai stato prima compiuto per Giovanni Paolo I. È un tempo che è stato per me, ed è, benedetto perché bisognava conoscere soprattutto attraverso le carte, perché la storia si fa con le carte. Rispetto ad altri Papi che hanno avuto l’introduzione della causa nel Novecento, quello di Luciani non è durato di più. Certamente, la causa di Luciani è stata introdotta più tardi rispetto a quelle di altri Papi del ‘900, 25 anni dopo la morte.

In sintesi, perché sarà beato Papa Luciani?

Tutta la vita di Albino Luciani fu impegnata a ricercare la sostanza del Vangelo come unica ed eterna verità, aldilà di ogni contingenza storica. Questo lo aveva osservato subito dopo la morte con puntualità il professor Vittore Branca, che era stato legato a Luciani negli anni del suo patriarcato a Venezia. Come noto filologo evidenziava però una caratteristica che è inalienabile dell'atteggiamento pastorale di Luciani, quando vogliamo parlare delle sue virtù: la grande semplicità. Perché questa semplicità, con la quale ha esercitato anche le virtù in modo eccezionale, è un tratto distintivo di Giovanni Paolo I. Lui è stato fedele alla dottrina di san Francesco di Sales, un santo che gli è stato caro fin dall'adolescenza, quando lesse la Filotea e Il Trattato dell'amore di Dio. Luciani è stato il pastore nutrito di umana saggezza, che ha vissuto tutte le virtù evangeliche. Un pastore che precede e vive nel gregge con l'esempio, senza alcuna separazione tra la vita spirituale e l'esercizio del governo. Nell’assoluta coincidenza tra quanto insegnava e quanto viveva.

Io credo che questa possa considerarsi una testimonianza attualissima e così l’hanno considerata anche i cardinali che lo elessero al soglio di Pietro. il suo essere fino in fondo pastore, e lo è stato in maniera esemplare, nel solco del Concilio. Certamente, quando si parla di semplicità di Luciani, parliamo di semplicità evangelica, che è anche un'arte, quella che i Padri della Chiesa chiamavano “arte di conversare semplicemente con gli uomini”. Perché c'è un fondamento teologico al suo modo di parlare semplice, che è quello affermato da Sant'Agostino nel De praedestinatione Sanctorum. Il parlare con semplicità, con umiltà, determinato dal fatto che si deve rispettare la verità, perché deve essere capita da tutti. Queste sono le ragioni del suo parlare semplice: per far arrivare a tutti il messaggio di salvezza. Con questo linguaggio Luciani ha rotto il confine tra credenti e non credenti, tra dotti e persone semplici.

Quali sono i tratti salienti del suo magistero e quale Chiesa voleva?

Prossimità, umiltà, semplicità, povertà e insistenza sulla misericordia e sulla tenerezza di Gesù sono stati i tratti salienti del suo magistero, che più di 40 anni fa suscitarono attrattiva e restano oggi più che mai attuali. Per questo, il breve pontificato di Albino Luciani non è passato come una meteora e ha incarnato quelle che erano anche le prerogative del Concilio Vaticano II. L’immagine della Chiesa che nutriva Giovanni Paolo I è quella del Discorso delle Beatitudini, dei poveri di spirito. Più vicina al dolore delle genti, una Chiesa non autoreferenziale che affonda le radici proprio in quel mai dimenticato tesoro di una Chiesa antichissima, senza trionfi mondani, che vive della luce riflessa di Cristo. Vicina all'insegnamento dei grandi Padri e alla quale era risalito il Concilio. Io credo che qui vada riconsiderato anche lo spessore della sua opera, di valenza storica, del suo pontificato e di quello che è stato il centro della sua testimonianza come pastore.

Estrapolato da Vatican News

lunedì 11 ottobre 2021

PREGHIERA INTERRELIGIOSA SERALE DI FRONTE AL MARE - di RENATA RUSCA ZARGAR

 

Savona, 10 ottobre 2021

Preghiera interreligiosa serale di fronte al mare


Signore,

ricordati non solo degli uomini di buona volontà,

ma anche di quelli di cattiva volontà.

Non ricordarti

di tutte le sofferenze che ci hanno inflitto.

Ricordati invece

dei frutti che noi abbiamo portato

grazie al nostro soffrire:

la nostra fraternità, la lealtà, il coraggio,

la generosità e la grandezza di cuore

che sono fioriti da tutto ciò che abbiamo patito.

E quando questi uomini giungeranno al giudizio

fa’ che tutti questi frutti

che abbiamo fatto nascere

siano il loro perdono.

Preghiera scritta da uno sconosciuto prigioniero del campo di sterminio di Ravensbrück  lasciata accanto al corpo di un bambino morto.

Nel magico scenario serale dello scaletto dei pescatori a Savona, con questa preghiera, il Vescovo, Mons. Calogero Marino, ha iniziato l’incontro interreligioso di domenica 10 ottobre. Lo scopo era ricordare le persone che hanno perso la vita in mare il 3 ottobre 2013 e in tanti altri momenti.

Dopo di lui, è intervenuto Zahoor Ahmad Zargar. 

- Il Corano - ha spiegato - parla delle esperienze migratorie di molti profeti prima dell'Islam, come Adamo, Abramo, Giona, Giacobbe e Mosè. Da quando Adamo, il padre dell'umanità, è migrato dal cielo alla terra, la tradizione dell'Islam considera tutti gli esseri umani come immigrati. Pertanto, la patria primordiale dell'umanità è il cielo, mentre la terra è un luogo per il trasferimento temporaneo. Lo stesso Profeta Muhammad si paragona a un viaggiatore che rimane per un breve periodo a riposare all'ombra di un albero e poi continua il suo viaggio. La migrazione può avvenire per molte ragioni: economiche, religiose, oppressione o semplicemente per ricollocazione. Il Corano parla di persone oppresse e deboli e le invita a spostarsi verso un'altra terra di Dio.  "La terra di Dio non era abbastanza spaziosa da farti fuggire per trovare rifugio?" (Corano, 4:97). Ma non solo. Il versetto suggerisce indirettamente che coloro che hanno autorità dovrebbero prendersi cura dei rifugiati, poiché, secondo l'insegnamento islamico, ogni parte della terra è terra di Dio. Pertanto, le autorità mondane dovrebbero sentire vicinanza e apertura verso coloro che sono indigenti e oppressi e quindi aprire le porte dei loro confini. Anche se oggi abbiamo messo dei confini per dividere le nazioni e fermare il flusso di emigrazione e immigrazione da una terra all'altra, nell'insegnamento dell'Islam tutte le terre appartengono a Dio e tutte le persone sono servi di Dio. Il Profeta afferma: "Dio ha fatto l'intera faccia della terra come una moschea per me e il suo suolo come puro." -

Dopo di lui, Amnon Cohen, ha ricordato l’Odissea di tanti ebrei prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale, rifiutati dagli altri paesi e, molte volte, finiti poi nei campi di sterminio e nelle camere a gas. Allora, ha chiarito, noi diciamo: “Chi salva una persona, salva il mondo intero.” Davanti all’essere umano in pericolo, tutte le leggi e la sovranità dei paesi si sgretolano. Conta solo salvare chi è in pericolo.

Padre Gheorghita Andronic della Chiesa Ortodossa ha invitato a pregare in ogni momento per ricordare tutti quelli che hanno cercato di raggiungere un posto migliore, di avere una vita degna, un futuro. Non dobbiamo dimenticare le tante vite perse, dobbiamo essere vicini con il pensiero.

Giorgio Castelli, evangelico metodista, ha rievocato lo scritto di 2500 anni fa: “ci sarà una stessa legge, uno stesso diritto per voi e per lo straniero che soggiorna in mezzo a voi”. Noi, oggi, invece, vorremmo mettere il filo spinato intorno al mare perché nessuno venga più. Inoltre, la Costituzione stessa garantisce il diritto di asilo.

Ettore, dell’Associazione “Life Share Helps, che sostiene bisognosi, poveri, rifugiati, bambini, in varie parti del mondo, ha ricordato che Gesù è venuto “per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato,

per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi,

l'apertura del carcere ai prigionieri” (Isaia).

La conclusione è stata, infine, del Vescovo. Egli ha ribadito che persone di diverse culture e religioni si sono ritrovate da percorsi diversi per condividere lo stesso pensiero: che il mare sia spazio di vita e di incontro. La memoria di nomi e di storie di chi non c’è più è molto importante e permette loro di rivivere.

Renata Rusca Zargar

NdR:Zahoor Ahmad Zargar, in urdu ظہور احمد زرگر, (Srinagar, 6 aprile 1954), è uno scrittore indiano naturalizzato italiano, esponente dell'Islam moderato italiano. Nato a Srinagar, capitale estiva e città più grande dello stato indiano del Kashmir. Si laurea e partecipa attivamente alla politica del suo paese, collaborando anche con diverse Associazioni culturali e con la rivista “Mountain Valley Kashmir”.Si trasferisce definitivamente in Italia nel 1990, dopo la nascita della sua prima figlia, Samina, nata dall'unione con l'insegnante italiana Renata Rusca; nel 1992 nasce la seconda figlia Zarina e nel 2000 ottiene la cittadinanza italiana. Nel 1998 fonda il Centro Culturale Islamico Savonese e della Liguria affiancandosi alla moschea di Savona, aperto non solo ai musulmani ma a tutta la cittadinanza, per conoscere usi, costumi, tradizioni differenti. Come Presidente di tale Centro organizza a Savona Convegni di interesse nazionale con la partecipazione dei rappresentanti delle istituzioni locali e di esponenti di altre religioni tra cui il Vescovo di Savona, il Rabbino capo di Genova, il Pastore della Chiesa evangelica di Savona, rappresentanti dei Mormoni, degli induisti.

sabato 9 ottobre 2021

I RACCONTI DI LA E DO - di ALESSANDRA GIUSTI e DANILA OPPIO


Alessandra Giusti e Danila Oppio hanno scritto un libro insieme titolato

I RACCONTI DI LA E DO

Sinossi

Lo scambio di corrispondenza tra LA e DO riassume un anno di condivisione di giorni trascorsi nel tempo di distanziamento obbligatorio, non solo per l’incombere del virus che ha creato non poche difficoltà, ma anche per l’effettiva distanza fisica tra due amiche che hanno condiviso gli stessi punti di vista, una vera e propria alleanza grazie alle affinità elettive che hanno scoperto, di giorno in giorno, nel loro scambio epistolare, così come uno straordinario parallelismo di esperienze di vita, non comune. Vuol essere testimonianza di come l’amicizia sincera e affettuosa possa crearsi e vivere nonostante le difficoltà vissute in una situazione difficile. Un’amicizia così forte, che durerà per sempre, poiché per loro vale il detto: “Chi trova un amico, trova un tesoro”. Questo libro è nato dalla reciproca volontà di testimoniare come si possano creare rapporti intensi anche solo per corrispondenza. Un concerto di note musicali, non udibili ma trasmesse dall’anima, chiude questo libro. 

Il libro è distribuito in tre edizioni diverse: questo che appare in copertina contiene immagini a colori, per cui il costo è un po' alto, ma ne è valsa la pena. Comporta 534 pagine, quindi è proprio un bel tomo!

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La stessa versione è stata editata anche il e-book Kindle, al costo di 3 euro. Questo per agevolare chi ama leggere anche da un tablet o dal cellulare. Qui sotto come si presenta la versione digitale.



In seguito è stato modificato con le immagini in bianco e nero, per poter
rendere il prezzo più abbordabile.
questa la copertina della nuova edizione



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Noi siamo soddisfatte di aver portato a termine questo lungo e laborioso lavoro a quattro mani, perché ha rafforzato la nostra splendida amicizia.
Alessandra Giusti è la discendente del poeta Giuseppe Giusti, amico di Alessandro Manzoni, per il quale ha scritto  la lirica Sant'Ambrogio, che bonariamente prende in giro il Granduca o chi per lui.
Questo per sottolineare che Alessandra, mia compagna di questa avventura letteraria, ha preso molto dal suo antenato, in quell'ironia dolce, o le divertenti battute che troverete in questo libro. Così come il suo buon cuore. 
Uno dei poeti, un tempo certamente più conosciuti dagli studenti (i suoi versi si imparavano a memoria fin dalle elementari, spesso senza capirci un’acca), è Giuseppe Giusti (1809-1850), i cui versi sono caratterizzati dall’associazione tra la satira e l’invettiva, efficacemente espressa usando, tuttavia, un linguaggio, la parlata toscana, spesso oscuro e, comunque, di non facile impatto. Eppure lui le sue poesie le chiamava “scherzi”, senza prendersi troppo sul serio. Su uno di questi “scherzi”, Sant’Ambrogio, lavorò a lungo per giungere ad una poesia dal tono narrativo, con uno stile colorito e colloquiale, fondendo l’emozione lirica con l’occasione comica. Il risultato è una lirica tradizionale nella forma ottave di endecasillabi, rimati secondo lo schema ABABABCC, quello del poema epico cavalleresco, per intenderci) ma decisamente fuori dal comune nel contenuto, specialmente laddove il poeta vuole esprimere un giudizio severo nei confronti dell’oppressore ma nello stesso tempo esterna, attraverso il registro comico, un atteggiamento pietoso e tollerante verso chi in casa altrui la fa da padrone.
La lirica prende spunto da un fatto realmente accaduto: mentre si trovava a Milano, ospite di Alessandro Manzoni, Giusti fece visita alla basilica di Sant’Ambrogio, al cui interno s’imbatté in un gruppo di soldati austriaci che a quei tempi occupavano il Lombardo-Veneto. Ad un primo sentimento di repulsione nei confronti dell’oppressore, si sostituisce una sorta di compartecipazione alla sorte di quei soldati che, lontani dalla patria, sono ridotti, forse loro malgrado, a strumento di sopraffazione. Il canto intonato da quei soldati suscita nel poeta una commozione inaspettata da cui scaturisce una riflessione profonda sulla sorte dei popoli che spesso sono soltanto delle marionette nelle mani di chi detiene il potere. di rivolgersi ad un alto funzionario della polizia o granducale (il poeta è pistoiese) o austriaca, Giusti inizia con questi versi:

Vostra Eccellenza, che mi sta in cagnesco
per que’ pochi scherzucci di dozzina,
e mi gabella per anti-tedesco
perché metto le birbe alla berlina,
o senta il caso avvenuto di fresco
a me che girellando una mattina
càpito in Sant’Ambrogio di Milano,
in quello vecchio, là, fuori di mano.

Fin dall’incipit si può osservare l’ironia con cui il poeta esprime la sensazione di essere guardato in cagnesco da quel funzionario che l’ha di certo etichettato come anti-tedesco perché nei suoi scherzucci si prende gioco dei birbanti (tiranni, traditori, finti liberali …). Dopo il preambolo, con quel O senta tutto toscano si appresta a raccontare al suo interlocutore ciò che gli era successo una mattina in occasione di una visita nella basilica di Sant’Ambrogio.

M’era compagno il figlio giovinetto
d’un di que’ capi un po’ pericolosi,
di quel tal Sandro, autor d’un romanzetto
ove si tratta di Promossi Sposi…
Che fa il nesci, Eccellenza? o non l’ha letto?
Ah, intendo; il suo cervel, Dio lo riposi,
in tutt’altre faccende affaccendato,
a questa roba è morto e sotterrato.

Il poeta si trova in compagnia del giovane figlio del Manzoni (forse Filippo), qui chiamato confidenzialmente Sandro e scherzosamente definito un di que’ capi un po’ pericolosi, riferendosi, senza mezzi termini, alla palese avversione che Manzoni nutriva nei confronti degli Austriaci e definendo il capolavoro del poeta lombardo romanzetto, prendendosi gioco anche di lui. L’intento di gabbare il funzionario si fa palese in quel Che fa il nesci (più o meno lo gnorri), salvo poi giungere alla conclusione che forse quel romanzo non l’ha letto perché il suo cervello ha tante altre faccende di cui occuparsi, prima fra tutte, è sottinteso, rendere infelici i poveri “oppressi”. Ecco che, proseguendo lo scherzo, arriva la sferzata per l’ignaro interlocutore: Dio lo riposi è un augurio che solitamente viene rivolto ai morti: il cervello del tale è, dunque, morto e sotterrato, constatazione che porta ironicamente l’attenzione del lettore sull’ignoranza e la pochezza di certi ufficiali.

La straordinaria coincidenza che unisce il poeta toscano alla pro-pro nipote Alessandra, è che se l'antenato era in visita a Milano, ospite del Manzoni, Alessandra a Milano ci è nata e cresciuta. 
Entrambe abbiamo lasciato la metropoli lombarda per vivere in altri luoghi, lei in Val d'Aosta, io in provincia di Milano, ma comunque via dalla pazza folla! 
Questo ha unito anche noi: i ricordi milanesi, e i racconti reciproci delle nostre vite che in alcuni strani casi, coincidono tra loro. 
Spero che chi si accosta a questa nostra scrittura, ne resti soddisfatto.

Danila Oppio e Alessandra Giusti

LA VERGINE CON DUE AGNELLINI - Poesia di Padre Nicola Galeno OCD

LA VERGINE CON DUE AGNELLINI

Vergine, ti rapisce il sonnellino

 placido del Bimbetto. Lo vorresti 

forse imitar, confidando nell’altro agnellino

 che fa da sentinella!


(Legnano 9-10-2021), Padre Nicola Galeno

L'ARDIMENTO DELLA PICCOLA TERESA - Poesia di Padre Nicola Galeno OCD

L’ARDIMENTO DELLA PICCOLA TERESA

Paion siffatte parole irraggiare

 l’incomparabil fragranza del bacio

 divino, che le gote tempestare 

volle di quest’ardita Paladina!

(Legnano 8-10-2021), Padre Nicola Galeno


JONATHAN IL FALEGNAME E IL FIGLIO DI DIO - di Padre MAURO ARMANINO



Jonathan il falegname
 e il figlio di Dio

Di professione falegname, Jonathan non aveva avuto il tempo di aspettare. Finita la scuola professionale nella capitale del Togo, Lomé, è partito in fretta in Algeria in cerca di lavoro fin dal 2016. Si trovava in un cantiere edile e guadagnava il necessario per lui e la famiglia rimasta in patria. Espulso dal Paese, torna in patria e cerca, inutilmente, un lavoro compatibile con la sua formazione tecnica. Senza conoscenze non è per nulla facile trovarlo ed è così che l’idea di ripartire ha cominciato di nuovo ad assediarlo. Stavolta la destinazione era l’Europa dei tanti sogni raccontati da chi non è mai partito. Jonathan torna dunque in Algeria nel 2019. Malgrado tutta la sua buona volontà, non riesce neppure a raggiungere la frontiera col Marocco, militarizzata da tempo, e lavora nell’inevitabile cantiere di Algeri, col legno delle armature per il cemento armato. In Algeria a essere armata è la società che, dopo aver sfruttato i migranti come mano d’opera a buon mercato, continua ad espellerli dal proprio territorio. Jonathan lascia definitivamente l’Algeria e percorre la strada a ritroso. Algeri, Tamanrasset, In Guezam, Assamaka, Arlit, Agadez e Niamey.
La madre di suo figlio, Eugenia, non era d’accordo col suo progetto di migrazione. Temeva di non rivederlo più, come sposo e come padre dell’unico figlio concepito sette anni or sono. Aveva sentito troppe brutte storie del mare e qualcuno le aveva suggerito che il Mediterraneo, a causa delle politiche restrittive sulla mobilità, si era trasformato in una sola grande ‘fossa comune’. Lei temeva la sparizione del padre di suo figlio che chiede continuamente di lui, assente. Papà tornerà presto e non andrà più via, dice Eugenia all’unico figlio del falegname ancora senza lavoro e di ritorno al paese con due borse baciate di polvere. Jonathan non rimpiange nulla del vissuto perché i suoi occhi hanno visto il deserto, sfiorato frontiere, accarezzato il mare e sognato un mondo troppo lontano dal suo. Nella borsa più piccola ha messo alla rinfusa i ricordi messi insieme nei viaggi di andata, espulsione e ritorno. Nell’altra più grande ha messo con cura, assieme ad alcuni abiti nuovi per la signora e suo figlio, il futuro che non conosce nel Paese che l’ha buttato via. Le due borse sono la parabola del passato e del futuro consacrate dal sapore del vento.
Jonathan non ricomincia dal nulla. Di mestiere falegname in cerca di lavoro, nel suo spirito accarezzando paesaggi lontani e stato civile sposato con un figlio di sette anni che ha cominciato ad andare a scuola. Lui si è formato dai salesiani operanti nel suo Paese il Togo, ritagliato sulla costa atlantica della tratta degli schiavi. L’attuale presidente del Paese, che continua la dinastia del padre, è riuscito nell’intento di ridurre il suo popolo in schiavitù. Jonathan, a modo suo, ha cercato senza riuscirci, un sentiero differente. Lui, giovane falegname in cerca di lavoro, troverà suo figlio cresciuto ad attenderlo col nome che gli hanno dato prima di partire. L’hanno chiamato, per ispirazione o per promessa, Godson, figlio di Dio.

Mauro Armanino, Niamey, 8 ottobre,
anniversario della liberazione di P.Gigi

BENVENUTO|

Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi