mercoledì 30 settembre 2020
giovedì 17 settembre 2020
SPICCIOLI sul Dottorato della Santina
SOTTO LO SGUARDO DI TERESA MARTIN, NEO LAUREATA
Mentre scrivo queste righe, oggi 19 ottobre 1997, ore 8.50, il sole romano, stranamente primaverile, mi scalda affettuosamente. Vorrei fotografare lo sguardo di Teresa sul loggione della Basilica, ma la gigantografia del volto è troppo piena di riflessi.
Il biglietto procuratomi da un caro confratello del Teresianum (la nostra Facoltà teologica) di per sé sarebbe buono, in quanto il mio posto si trova sul sagrato destro guardando la facciata, ma ho già davanti a me oltre una quindicina di file di sedie saldamente occupate da chi mi ha preceduto.
Fosse tutto dipeso da me, sarei già in prima fila, ma ho dovuto dir Messa alle 6.50 per le Suore Domenicane presso cui alloggio, raggiungere quindi in bus il Teresianum, dov'è parcheggiata la fida Uno delle Missioni per ricuperare tutto il mio armamentario fotografico, e poi col cavallo di S. Francesco, rispolverando il mio antico passo da bersagliere、 portarmi sino a Piazza S. Pietro…
Caro Cupolone, quando ti vedo, sempre mi si allarga il cuore. Mi sembra che tu sussurri bonariamente: “Passano i regimi, ma io…rimango! E tu fa' come me: le cose, guardale sempre dall'alto; così non ti farai mai invischiare dalle meschinità!”.
In quest'intervallo (la funzione è fissata per le 10) possiamo goderci un "Cantate Domino"in polifonia. Sbircio intanto la foto della mia Santina: ora è proprio infotografabile, in quanto il sole l'abbaglia tutta. Ma a me piace anche così. È davvero l'immagine dell'anima che, quando si lascia completamente avvolgere dalla Grazia divina, perde in un certo senso la sua fisionomia per far risaltare solo quella divina.
Alle 9 in punto inizia il ripasso dei canti che l'assemblea dovrà eseguire durante la S. Messa. Non ho però afferrato il nome della Corale, che ora fa da sostegno. Controllo alla mia sinistra la situazione in Piazza S. Pietro. Tutta la parte attrezzata di sedie sino all'obelisco è già colma; non posso comunque fotografarla perché contro luce.
E dato che il sole picchietta la "pavimentazione linda" di questa mia testa, ricavo un berretto da un fazzolettino (rossastro per la verità… Spero non abbia dato adito ad insinuazioni politiche"!).
Al mio fianco sinistro, poco più avanti、 ci sono le sedie degli ambasciatori. Si vede che se la prendono comoda, in quanto sicuri che nessuno soffierà loro il posto. Alle 9.15 soltanto in tre hanno fatto la loro comparsa. Vedo purtroppo che le due fontane della piazza non mostrano il loro getto gioioso… Mi sembrano tristi pertanto.
I solerti uscieri vaticani rimandano cortesemente, ma decisamente indietro chi non ha il biglietto per il sagrato. Pochi istanti fa ho sentito dalla viva voce dl uno che sembra essere il loro capo: " Anche i Vescovi, non fateli passare di qui; loro hanno già il loro posto riservato vicino al Papa…". A quel punto io ho detto ridendo ad un usciere :”Mi fa piacere veder che anche i Vescovi debbano… rigare dritto!”.
Ora si vedono arrivare le mogli di certi ambasciatori con l'impeccabile vestito nero. Riesco intanto a sapere perché tutte quelle file di sedie grigiorosse dietro l’obelisco siano ancora rimaste vuote. Sono per la gente sprovvista del biglietto d'ingresso (tra l’altro gratuito): mi piace questa considerazione anche per i semplici turisti o gli sprovveduti.
Io aspetto sempre che la foto della Santina acquisti un minimo di fotografabilità. Il Papa dovrei vederlo lateralmente da una trentina di metri di distanza. Per fortuna posso contare su di un teleobiettivo da 115 millimetri, anche se rimane sempre l'incertezza della cortesia di chi mi sta davanti. A volte infatti qualcuno sale sulla sedia!
Mentre stendo queste annotazioni, ripenso a tutte le mie Consorelle nipponiche, che idealmente rappresento, pur non rivestendo alcun incarico ufficiale. Mi considero infatti un semplice Missionario in vacanza che, quando gira, pensa sempre a quanti stanno…fermi! E mi sforzo pertanto d'imprestare occhi ed orecchi: quest'articolo, corredato da opportune foto, dovrebbe consentir loro una certa partecipazione.
Ora un cantante esegue in francese una canzone, che sembra rievocare testi della Santina… Per me, organista della vecchia generazione, fa uno strano effetto sentire l'accompagnamento delle chitarre in questo feudo della polifonia… Ma ammetto anch'io che si debba parlare ai giovani con i loro stessi strumenti.
Se non si levasse ogni tanto un fil di vento, starei già sudando, essendo l'abito marrone una vera calamita dei raggi! Ora però certi suoni acuti dell'orchestrina mi sembrano dei miagolii… Per fortuna subentra una voce femminile che, sempre in francese, sembra alzare la temperatura della folla in attesa.
Continua intanto l'afflusso dei possessori di biglietto. Probabilmente a chi ne è sprovvisto sarà consentito l'ingresso poco prima della funzione. Un battimani saluta la fine del canto: segno che è piaciuto!
Guardo il Cristo che sovrasta la facciata. La sua figura si staglia maestosa nel cielo azzurro: m'ispira tanta sicurezza, pur nell'alternarsi delle epoche!
La polifonia sembra voler reclamare i suoi diritti. Pur non afferrandone le parole, sento che il mottetto eseguito sa creare un'atmosfera di sacro raccoglimento. Anche in questa piazza immensa mi ritrovo tutto solo come in una catacomba ove risuonino voci di persone invisibili…
Mancano sei minuti. Anche gli ambasciatori ormai si sono tutti accomodati. Due guardie svizzere con le loro alabarde e sgargianti uniformi sostano immobili davanti all'altare eretto sul sagrato.
Poco prima dello scoccar delle 10 esce la processione. Un prolungato applauso saluta l'apparizione dell'urna dorata con le reliquie della Santa; essa vien collocata dinanzi all’altare.
Si scorge ora il Papa, che sembra schiacciato più dai malanni che dagli anni. Non lo vedevo da una quindicina d'anni… Fa molta fatica a camminare e pare non aver nemmeno la forza di sollevare lo sguardo verso la folla, che applaude. Quando parla invece, si sente che ha ancora tanta forza!
Un Cardinale sintetizza vita e messaggio della Santa. Dietro di lui riconosco il nostro Postulatore uscente (P. Simeone) e quello attuale (P. Ildefonso), entrambi spagnoli. Il sole intanto sembra volermi consentire finalmente di fotografare il volto dell'amata sorella, neo laureatasi alle 10.18 del mio povero orologio!
Vedo ora rinnovarsi un gesto profetico della Santa. Lei ha sempre amato lanciar petali profumati verso l'ostensorio durante le processioni del Corpus Domini prima e verso il Crocifisso del chiostrino del Carmelo di Lisieux poi… Due consorelle teresiane, di cui una di colore, forse a simboleggiare lo zelo missionario di Teresa, lanciano petali sull'urna tra la commozione generale.
Davvero spendersi nel segreto solo apparentemente non ha senso… Ma per chi conosce i tempi del Signore è l'unica tattica produttiva a lunghissimo termine. A cent'anni di distanza il chicco marcito nel buio continua a sfornare spighe rigogliose!
Il canto della Messa degli Angeli viene alternato con la Cappella Sistina. Mi piace questo gioioso scambio di binari tra i pedoni del canto ed i professionisti della polifonia. Mi sento un umile pastore nella grotta di Betlemme: è così bella la voce degli Angeli che volentieri scordo l'insignificanza della mia! Il tono del salmo responsoriale è molto brioso, grazie anche alla voce argentina del giovane cantore. Scommetto che anche Teresa di lassù tenda l'orecchio, rapita dalle audaci serpentine che sembrano voler scalare il cielo!
Teresa amava il canto, anche se forse la sua voce non era delle migliori. Ma sapeva scegliere bene la cantante per le sue poesie e rappresentazioni: la cugina Maria, monaca anch'essa, divenne la sua esecutrice preferita. Cara Santina, ora il sole ti consente una pausa e pertanto provo a scattarti un'ultima foto. Nel frattempo un coro polifonico russo (sembrano studenti di teologia ) ti allieta con un canto che, pur così lontano dalla nostra sensibilita', riesce a creare l'effetto di una massa, che canti in una steppa sconfinata…
Sono le 10.55 ed il Papa inizia la sua omelia. Benché per me i microfoni di Piazza S. Pietro siano i migliori del mondo in quanto in ogni angolo si possono percepire tutte le parole, debbo solo incolpare il mio povero udito, che viaggia a ridotto numero di giri… Una mosca curiosa di leggere quanto velocemente annoto in stampatello si viene ogni tanto a posare sulla penna e sulla mano.
Quando il Papa accenna al fatto che Teresa, pur non avendo frequentato l’università, debba da oggi in poi fregiarsi del titolo di Dottore, un fragoroso applauso lo interrompe. Quest'omelia del Papa conosce molti binari. Basta che azioni uno scambio perché subito dall’italiano passi al francese, salutato da un altro battimani. E debbo dire che il tono della voce del Papa in francese fa credere che abbia qualche anno in meno… Le stupende parole di Teresa sulla scoperta della sua vocazione d’Amore nel cuore della Chiesa vengono salutate dagli applausi dei numerosi francesi.
Guardo i pini, che sembrano spuntare dietro le statue del colonnato destro… Mi piace questo ciuffo di verde, che contrasta col bianco smorto del marmo. In fondo, verso Via della Conciliazione, rimangono ancora parecchie file di sedie vuote, benché ai lati si veda ancora parecchia gente in piedi. Sono forse turisti occasionali, che non intendono trattenersi a lungo. Il traffico dei bus in fondo alla piazza non disturba affatto, anzi sembra il sottofondo gradito del mormorio di un ruscello montano… Solo le autoambulanze sembrano stonare!
Alle 11.15 termina l'omelia. Osservo il Papa: senza il sostegno del pastorale sembra ancor più incurvato… Ora la foto della Santina è quasi perfetta e si ha la netta impressione che da qualsiasi parte la si guardi quel volto cerchi sempre solo te! Chissà se i passeggeri dell'aviogetto, che ora ci sorvola, possono godere lo stupendo colpo d'occhio di questa piazza gremita! Ricordo quando anni fa il mio aereo proveniente da Singapore passo' proprio sul Vaticano a bassa quota… Roma stava ancora dormendo, ma lui – il Cupolone- era già sveglio e mi diede il benvenuto!
La risposta alle varie intenzioni della preghiera dei fedeli (ora è la volta del cinese e mi sembra davvero un gorgheggio di canarini!) viene sempre cantata in latino: “Adveniat regnum tuum!”.
Al momento dell'offertorio a presentar al Papa il calice e la patena mi sembrano una consorella di clausura ed una teresiana di colore, mentre la Cappella Sistina ci riporta verso le alte sfere…
La Santina deve aver pregato il vento di temperare i cocenti raggi del suo rivale, il sole, e così ogni tanto si può respirare. Provo compassione per ambasciatori e consorti coi loro vestiti neri e rimpiango la cappa bianca dimenticata nel comò della mia celletta di Oita…
Bisognerebbe davvero aver sempre una testa di scorta quando si fanno i bagagli per il ritorno in Italia. Quante cose si dimenticano! Ma arriverà pure il giorno, che ci vedrà dimentichi della terra perché saremo immersi nella luce eterna!
(Foto d’archivio: Il Superiore Generale P. Camillo ed il Papa)
Durante il canto del prefazio la voce del Papa è davvero tremante e le pause per riprender fiato sono sempre più prolungate. Sembra quasi che non debba arrivare alla fine… Ma questi è il Papa delle sorprese! E giunge anche per lui il "sine fine dicentes". Dato che saremo noi a cantare il Sanctus, potrà intanto schiarirsi la voce! Al momento della consacrazione del vino una fragranza d'incenso ci vien portata dal vento.
Ora è rimasto solo un angolino di vuoto nel posto riservato agli sprovvisti di biglietto. S'ode lontano uno scampanio festoso. Siamo ormai alle 11.50 ed è chiaro che quest'oggi l’Angelus papale non potrà rispettare le lancette… Ma per un Dottorato così eccezionale si può anche spostare il…mezzogiorno!
Fa sempre impressione cantare all'unisono in gregoriano il Pater noster in questa piazza così vasta, vetrina di tutta l’umanità: la si vede vibrar d'una stessa fede!
Al momento dello scambio fraterno di pace ripeto ad un anziano signore (lo si direbbe un dignitario del Vaticano, a giudicar almeno dal collare aureo con le "Chiavi del Regno") il saluto giapponese: “Shu no heiwa” (La pace del Signore). Alle 11.58 ricevo anch’io il Signore eucaristico dalle mani di un mio compagno di teologia (bisogna risalire agli anni 66/68 di Venezia): la Santina me l’ha fatto nuovamente incontrare. Le nostre strade però hanno imboccato binari diversi: mentre lui ha percorso i gradini dell'alta dirigenza nell'Ordine, il sottoscritto ha bazzicato solo nelle cucine della Missione!
Improvvisamente ripenso a quella comunione di Teresa il 16 luglio del 1897. A causa dei dolori acuti non aveva chiuso occhio tutta la notte... S'era industriata allora di riempire quelle lunghe ore di solitudine, componendo una poesia che servisse da preparazione alla comunione del mattino in infermeria.
"Tu, che conosci il povero esser mio,
non temi d'abbassarti sino a me…”
La cugina avrebbe poi cantato a mo' di ringraziamento l'ultima strofa della sua famosa poesia "Viver d’Amore"… Cara piccola sorella mia, davvero può morir d’Amore sol chi visse d’Amore!
Ora una voce francese ci fa risentire la ben nota pagina ove Teresa elenca le sue molteplici vocazioni… Guardo il Papa: mi sembra notevolmente sollevato ed il suo sguardo abbraccia più agevolmente tutta la piazza. Distratto come sono, ho dimenticato di procurarmi un registratore, anche se per la verità questo strumento non mi ha mai entusiasmato. Per me parlano soprattutto gli occhi!
Alle 12.12 dopo l'orazione finale il Papa legge alcune considerazioni sulla Santina alla luce dell'odierna Giornata Missionaria Mondiale. Passa quindi ai saluti nelle varie lingue, cominciando naturalmente dal francese. I gruppi linguistici menzionati rispondono con applausi. Quand’è la volta di noi italiani, riusciamo a farci sentire con un semi boato! Mi rimane particolarmente impresso l'invito che il Papa rivolge ai teologi delle Universita' romane: “Fate tesoro di quest'insegnamento!”.
Cara Santina, sono ormai le 12.55 quando tutto finisce e come vorrei poterti mettere sul capo il classico berrettino delle neo laureate! Ti scatto un'ultima foto… Ma la più bella me la porto nel cuore!
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P. Nicola della Madonna del Carmine, Missionario carmelitano scalzo in Giappone Roma 19 ottobre 1997
lunedì 14 settembre 2020
ESALTAZIONE DELLA CROCE
ESALTAZIONE DELLA S. CROCE
Noi carmelitani, frati e monache, proprio in questo giorno rinnoviamo i nostri tre voti religiosi. In genere è il Priore o la Priora a tenere un discorsino spirituale prima che comunitariamente si riconfermi la propria adesione al Cristo. E stavolta dobbiamo ad una certa pigrizia o al fatto che fosse molto occupata se una Priora pregò la consorella Suor Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, di stendere giù lei qualcosa. E dal cuore della futura martire e santa sono uscite parole illuminanti sul ruolo della Croce nella vita religiosa. Noi possiamo riprenderle di sana pianta ed applicarle alla nostra vita cristiana.
Anni fa, naturalmente sempre nella solitudine del mio Giappone sud occidentale, volli rendere in versi quella sua mirabile pagina. Leggo solo i passi che vi possono riguardare più da vicino. Non dimentichiamo che questo scritto va inquadrato nello scenario della persecuzione sia contro gli ebrei che contro il cristianesimo convinto, che non poteva non opporsi al nazionalsocialismo.
PARAFRASI DA EDITH STEIN
" O Croce santa, unica speranza
nostra, Ti salutiamo!"- Con la Chiesa
nel tempo di Passione ripetiamo,
le amare sofferenze contemplando
del Cristo, nostro dolce Redentore.
Il mondo è in fiamme! Lottano accaniti
il Cristo e l'anticristo apertamente.
Perciò, se ti decidi per il Cristo,
può esserti richiesta anche la vita!
Contempla il tuo Signore sulla Croce!
A te dinanzi pende da quel legno,
perché volle obbedir sino alla morte
di Croce! A questo mondo Egli non venne
per compiere il volere suo, ma quello
del Padre. Se vuoi essere la sposa
del Crocifisso, devi rinunziare
ad ogni tuo volere ed aspirare
a compier sol la Sua Volontà .
Pende dinanzi a te il Redentore,
spogliato perché scelse povertade.
Se vuoi seguirlo, devi volentieri
ogni terren possesso abbandonare.
Pende dinanzi a te il tuo Signore
col Cuore suo squarciato! Egli versò
il Sangue da quel Cuor per guadagnare
il cuore tuo, che deve liberarsi
d'ogni terrena brama per seguirlo
in santa castità . Il crocifisso
Signore sia l'oggetto d'ogni tua
aspirazion, pensiero e desiderio!
*
Il mondo è in fiamme! E pur la nostra Casa
potrebbe dalle fiamme esser raggiunta...
Ma s'erge sulle fiamme la sua Croce,
che non potrà nessuno mai bruciare.
La Croce è via che unisce terra e Cielo!
E solo chi con fede, speme e amore
la sa abbracciar, da essa vien portato
nel seno dell'augusta Trinità .
*
Il mondo è in fiamme! Spegnerle tu vuoi?
Contempla la sua Croce! Da quel Cuore
del Redentore il Sangue scaturisce,
Sangue che pur le fiamme dell'inferno
di spegner è capace! Se tu osservi
i Voti fedelmente, il cuore tuo
libero diverrà e sempre aperto
ai flutti dell'Amore suo divino
facendo sì che possan riversarsi
e traboccando giungere ai confini
del mondo per poterli fecondare.
*
Mediante la potenza della Croce
presente tu potrai esser dovunque
regni il dolor! Ti porterà l'Amore
compassionevole che attingerai
dal suo divin Cuore. Sarai reso
capace d'irrorare quel suo Sangue
prezioso che lenisce, salva e libera.
Del Crocifisso gli occhi sono fissi
su te! Ti scrutan... Vogliono sapere
se sei disposto a fare un'alleanza
nuova con Lui! Rispondi:" Dove andare,
Signore? Tu soltanto hai le parole
di vita eterna!". O Crux, ave, spes unica!
Padre Nicola Galeno
domenica 13 settembre 2020
martedì 8 settembre 2020
Fiocchi di cotone, burro di karité e quel Centrafrica che non si arrende di Padre Federico Trinchero
Notiziario dal Carmel di Bangui n° 28, 7 Settembre 2020
Arrendersi in Centrafrica è abbastanza facile. Capita anche ai più ostinati. Ma c’è un piccolo esercito di uomini e donne, centrafricani di nascita o d’adozione, che si rifiutano di gettare la spugna e che, senza far troppo parlare di sé, combattono per un Centrafrica migliore. Un Centrafrica diverso da quello raccontato dalle cronache di questi sessant’anni d’indipendenza da poco compiuti. Ogni viaggio, sempre in compagnia dei miei giovani seminaristi, è sempre l’occasione per incontrare alcuni di questi inconsapevoli eroi. Vorrei farveli conoscere.
Nel mese di febbraio siamo stati a Bossangoa, un’importante città nel nord del Centrafrica, dove ci accoglie abbé Brice, un giovane sacerdote diocesano. Quando in Centrafrica c’è un colpo di stato – e in questi sessant’anni non sono certo mancati –Bossangoa è la prima città a subire distruzioni e saccheggi. E ogni volta Abbé Brice e i suoi confratelli non si arrendono e raccolgono la sfida di ricostruire questa piccola chiesa nella savana, dove i missionari sono ormai molto rari.
Solo da poco tempo sono ritornati i Cappuccini. A causa della guerra, questi religiosi, che tanto hanno contribuito all’evangelizzazione del Centrafrica, erano stati costretti ad abbandonare la missione di Gofo, completamente distrutta. Padre Michel, padre Antonino e fra Roland non si sono arresi e con coraggio e tenacia ora ripartono dalla piccola missione di Notre Dame de l’Ouham.
A Bossangoa c’è anche una delle pochissime industrie del paese: un cotonificio di proprietà dello Stato. Abbiamo la fortuna di visitarlo durante la produzione. Vi lavorano diversi operai, anche se da più di un anno non ricevono alcun stipendio. Anche loro non si arrendono e, pur di non perdere il lavoro e d’impedire la chiusura di una delle poche attività economiche del paese, continuano a produrre cotone.
Un po’ in periferia incontriamo suor Claire. La sua congregazione è stata costretta a lasciare il Centrafrica, ma suor Claire non si è arresa e con alcuni amici, e pochissimi mezzi, ha messo in piedi una scuola di cucito per ragazze e un piccolo centro dove viene prodotto dell’ottimo burro di karité.
Da Bossangoa arriviamo a Bozoum, missione fondata dai padri spiritani nel 1929, e poi diventata la nostra prima missione in Centrafrica, ormai quasi cinquant’anni fa.
Come ogni domenica i miei confratelli sono impegnati nel ministero in parrocchia e nelle chiese nei villaggi. Padre Norberto è arrivato per la prima volta in Centrafrica quarant’anni fa, come muratore volontario. Poi vi è ritornato come sacerdote. Oggi celebra l’Eucaristia con i cristiani di Wara, uno dei villaggi più difficili da raggiungere. Padre Norberto non si arrende e, dopo un’ora di macchina e un’ora a piedi, raggiunge il piccolo villaggio che lo attende da mesi.
Durante il soggiorno a Bozoum decidiamo di scalare una delle rare montagne del paese, un grande roccione che incombe sul piccolo villaggio di Aï. I miei confratelli si dimostrano degni figli del loro fondatore Giovanni della Croce e, pur di arrivare il prima possibile in cima alla montagna, optano con entusiasmo per il percorso più corto e più ripido. Questa volta, in un sussulto di orgoglio carmelitano, tocca a padre Federico non arrendersi. E quindi, pur di non dare ai miei studenti la soddisfazione di vedere il loro padre maestro rimasto ai piedi della montagna, raggiungo il resto del gruppo già in vetta. E per qualche istante, contemplando lo splendido panorama sulla savana, ci sembra di abbracciare con la nostra preghiera l’intero Centrafrica.
Ridiscendiamo dalla montagna e, attraversando il villaggio di Sambay, notiamo attorno ad una capanna alcune persone silenziose e con il volto triste. Ci accorgiamo subito che qualcuno è appena morto. Si tratta, purtroppo, di una bambina, costretta ad arrendersi ad un semplice morbillo. Ci fermiamo e restiamo un po’ con la famiglia. Ed è inevitabile pensare al resto del mondo ossessionato dalla pandemia del coronavirus e che neppure immagina che in Africa, ogni anno, migliaia di bambini muoiano ancora per questa malattia.
Prima di ripartire siamo invitati a pranzo dalla famiglia di fra Gerard. Ci accoglie maman Simone. Ci prepara un delizioso varano che raccoglie grande entusiasmo tra i miei confratelli e un po’ meno da parte del sottoscritto. Maman Simone, pur avendo un figlio carmelitano, è di confessione protestante. Madre di ben dieci figli, dei quali quattro già deceduti, è rimasta vedova da alcuni anni. Anche lei non si è arresa ed ora è contenta di ospitare nella sua piccola casa la nuova e grande famiglia di suo figlio.
Sulla via del ritorno, dopo aver lasciato la missione di Bozoum, ci fermiamo nel villaggio di Bogherà, dove padre Renato, missionario in Centrafrica per più di trent’anni e morto di leucemia alcuni anni fa, e il nostro volontario Enrico hanno costruito una piccola cappellina dedicata al Sacro Cuore. È ormai quasi il tramonto e decidiamo di fermarci per la preghiera. Iniziamo il canto dei Vespri in francese ma, in breve tempo, la piccola chiesa si riempie di uomini, donne e bambini, e siamo quindi costretti a terminare in sango, la lingua locale, tanto è grande il desiderio di questi cristiani di unirsi alla preghiera dei dodici frati improvvisamente arrivati nel loro piccolo villaggio.
Nel mese di luglio ci siamo diretti verso sud, nella foresta del fiume Lobaye. È la stagione dei bruchi che, da queste parti, sono offerti ben cotti a colazione, pranzo e cena. Da ogni angolo della foresta spuntano bambini con secchielli ricolmi di questi simpatici animaletti. Grazie alla loro vendita potranno acquistarsi penne e quaderni per andare a scuola.
A M’baïki incontriamo Mons. Rino Perin, missionario comboniano italiano, da quarantacinque anni in Centrafrica. Nel 1995 è stato nominato vescovo di questa nuova diocesi che, pur essendo una delle più piccole, copre una superficie pari a quella del Piemonte. Al suo arrivo a M’Baïki la diocesi contava quattro parrocchie, nessun sacerdote autoctono e centinaia di pigmei a cui annunciare il Vangelo. Mons. Perin non si è arreso ed è ormai in attesa del suo successore al quale lascerà dieci parrocchie, una quindicina di sacerdoti locali e altrettanti seminaristi.
Per visitare la missione di Bagandou, ancora più a sud, attraversiamo il fiume Lobaye usando come traghetto una grande zattera di ferro legata ad una fune di acciaio sospesa sul fiume. Il motore che dovrebbe spingere il traghetto è in panne. Alcuni giovani, pur di guadagnare qualcosa, non si arrendono e, tirando loro stessi la fune, ci permettono di raggiungere l’altra riva.
Bagandou è un grande villaggio nel cuore della foresta. Ci accoglie a braccia aperte abbé Piotr, un sacerdote polacco. Anche se non avevamo annunciato la nostra visita, ci invita a pranzare con lui. E ci racconta la difficile situazione sociale di Bagandou, dove la stregoneria è difficile da sradicare e moltissimi giovani sono attratti dal guadagno facile della ricerca di oro e diamanti. Abbé Piotr non si arrende e, orgoglioso, ci mostra la nuova chiesa appena costruita e i lavori in corso di una scuola per i pigmei.
Accanto alla parrocchia visitiamo l’ospedale diretto da suor Donata, giovane missionaria comboniana italiana. Non è per nulla facile gestire un ospedale così efficiente in condizioni così precarie. Suor Donata non si è arresa e, giustamente soddisfatta, ci mostra la nuova sala operatoria che eviterà a tanti ammalati viaggi lunghi e faticosi verso ospedali più grandi.
E anche voi, mi raccomando, qualunque sia l’ostacolo, la montagna da scalare o l’imprevisto da affrontare… non arrendetevi. Magari pensando a chi ha un ostacolo, una montagna, un imprevisto più grande dei nostri.
Un abbraccio da Bangui
Padre Federico
Se volete fare una donazione per le nostre missioni consultate il sito: www.amiciziamissionaria.it
Iscrivendovi al Caffè Carmelitano, ogni giorno riceverete via Whatsapp un brevissimo commento al Vangelo del giorno. Ogni tanto ascolterete la voce dei missionari in Centrafrica, tra cui il sottoscritto. Per l’iscrizione basta mandare un messaggio a questo numero: +39-347.285.3029.
Seguono alcune foto relative alla narrazione di Padre Federico.