I “catastrofisti” prevedono nel 2012 l’evento che porrà fine all’umanità; anche nell’ambito religioso si moltiplicano i messaggi sulla effettiva fine imminente……invece altri che vedono positivamente un futuro di coabitazione pacifica fra tutti i popoli e nazioni della terra…. Stiamo andando verso un mondo migliore o verso la fine del mondo?
Se i nostri bisnonni e i nostri avi avevano come prospettiva il combattere una guerra contro l’esercito del vicino, oggi la prospettiva (almeno per noi europei) è la pace!
Nelle nuove generazioni si stanno
affermando valori e ideali (pur nelle contraddizioni che sempre accompagnano la storia dell’uomo): pace, fratellanza, ecologia, salvaguardia della natura, cura delle malattie, volontariato sociale, impegno politico……..
Ma il nostro Dio da che parte sta? E’ un Dio che vuole punirci, che attende la “fine del mondo” per sedersi sul trono di giudice o invece è un Dio- Padre che vuole il bene dei suoi figli? (e quale padre non vorrebbe per i suoi figli la salute, la gioia, la felicità?)
articolo di padre A. Maggi ( Nigrizia n. 5)
Che ci sia la fine del mondo, per molti è indiscutibile, perché l’ha dichiarato più volte Gesù;
si tratta solo di sapere quando avverrà. È dall’anno Mille in poi che puntualmente giungono
predizioni certissime su questa fine, di volta in volta rimandata a causa di un ripensamento del
Padreterno, o per merito delle preghiere, delle penitenze e dei digiuni dei suoi figli migliori.
Attualmente la fine è stata fissata, salvo proroghe o ripensamenti del Signore, per il 21 dicembre
2012. Ne fanno fede calendari maya, profezie, visioni certe e affidabili. Disastri naturali, quali
sconvolgenti terremoti e spaventosi tsunami, sono solo un piccolo anticipo di quel che accadrà con
l’imminente fine del mondo.
Se è così, conviene prepararsi in tempo all’avvenimento, che non trovi gli uomini
sprovveduti, come consigliava un uomo del calibro di San Paolo, che, pienamente convinto della
fine imminente, cercò, inascoltato, di allertare le comunità cristiane: “Il tempo si è fatto breve; d’ora
innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non
piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non
possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti
la figura di questo mondo!” (1 Cor 7,29-31).
Eh, sì, Paolo ne era più che certo: “Passa la figura di questo mondo!”. Invece ha fatto in
tempo a passare Paolo, sono passati i destinatari dei suoi avvertimenti, e sono passati tutti quelli
che, convinti o meno, hanno annunciato, sperato o temuto la fine del mondo.
Chi non è passato è Gesù. E il suo messaggio, la buona notizia, si conferma più valido e
attuale che mai. Appunto perché buona notizia, il suo insegnamento è tutto indirizzato alla felicità
degli uomini, perché questa è la volontà del Padre, che tutti siano felici, qui, in questa esistenza
terrena. E la buona notizia contiene anche gli elementi di una piena felicità: essa consiste in quel
che si fa per gli altri, e ciò è possibile a tutti (“Si è più beati nel dare che nel ricevere!”, At 20,35).
La buona notizia di Gesù non contiene minacce di catastrofi o di fine imminente del mondo,
bensì il contrario. In nessun brano del vangelo si annunzia o profetizza una fine del mondo. Anzi!
Scrive Giovanni nel suo vangelo che “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio,
l’unigenito…”, e che “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il
mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,16-17), e sarebbe ben strano che un Dio, che invia il suo
unico Figlio per salvare il mondo, poi lo voglia distruggere.
Gesù non ha mai annunciato la fine del mondo, ma profondi cambiamenti che lo miglioreranno e lo
renderanno di volta in volta più umano. Questi mutamenti sono la fine di tempi, epoche, cicli, che sembravano eterni tanto erano radicati nella storia, e invece si sono tutti dissolti. A vantaggio
dell’umanità.
Il Creatore ama la sua opera, il creato.
Dio crea, non distrugge.
Il racconto della creazione, narrato nel Libro della Genesi, non è il rimpianto di un paradiso
perduto, ma la profezia di un paradiso da costruire. E l’uomo è chiamato a collaborare e a portare a
compimento questa creazione (“Il Padre mio opera sempre e anch’io opero”, Gv 5,17).
E proprio nel Libro della Genesi viene smentita ogni previsione catastrofica di fine del
mondo. Con la narrazione del diluvio, infatti, l’autore vuole correggere la credenza che metteva in
relazione fenomeni atmosferici con l’ira divina, e il Signore stesso assicura che “Non sarà più
distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra” (Gen 9,12). A
riprova della verità della sua dichiarazione, il Signore… depone le armi: l’arco di guerra, lo
strumento che serviva a Dio per lanciare le saette e punire gli uomini, viene definitivamente
deposto. L’arco del Signore non solo non servirà più per punire le persone, ma diventerà il segno
dell’alleanza tra Dio e l’umanità: “Pongo il mio arco sulle nubi ed esso sarà il segno dell’alleanza
tra me e la terra” (Gen 9,13).
Da sempre il messaggio del Signore dona serenità, non la toglie.
Gesù non ha mai annunciato alcuna fine del mondo. Le sue parole finali, nel vangelo di
Matteo, sono “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi” (Mt 28,1), espressione con la
quale Gesù non indica una scadenza, ma l’intensità della sua presenza, “per sempre/eternamente”,
secondo il significato del vocabolo greco aiôn/tempo/epoca, (mentre mondo è kosmos).
Se purtroppo, come spesso avviene, in qualche Vangelo il versetto viene tradotto con “fine
del mondo”¸ è solo un problema di traduzione e non una verità di fede. Nella nuova traduzione della
CEI (2008), sorprendentemente, riappare questa espressione (che era scomparsa nell’edizione
intermedia del 1997, dove si traduceva “fino a quando questo tempo sarà compiuto”), traduzione
che viene smentita dalla nota de “la Bibbia di Gerusalemme”, nella quale si chiarisce: “Non
significa la fine del mondo, della terra, ma piuttosto la fine dell’epoca attuale della storia della
salvezza, dell’era della Chiesa”. Era migliore la traduzione latina, che riportava “usque ad
consummationem saeculi” (fine dei secoli).
Non c’è alcuna fine del mondo da temere, ma fine di epoche storiche da desiderare.
Quando Gesù rivela che “il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore, le stelle
cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte” (Mt 24,29), non annuncia calamità che
colpiranno la terra, e non si accenna ad alcun terrore per gli uomini. Il sole e la luna erano
considerate divinità, e in quanto tali adorate dai popoli pagani (Dt 4,19), e con stelle si indicavano i
potenti, che ambivano alla condizione divina, e per questo risiedevano nei cieli (“Come mai sei
caduto dal cielo, astro del mattino, figlio dell’aurora?”, Is 14,12). La catastrofe non minaccia il
mondo, ma i cieli, considerati l’habitat di ogni potente.
Quelle di Gesù sono parole che suscitano non orrore, ma speranza: “Quando cominceranno
ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21,28).
L'annuncio del vangelo, la “buona notizia” del vero Dio da parte dei discepoli, chiamati a
essere “luce del mondo” (Mt 5,14), provocherà un'eclissi delle false divinità e, con questa, la caduta
dei regimi che su esse si poggiavano e delle potenze che dominavano gli uomini.
Tali testi pertanto non riguardano alcuna fine del mondo, ma la fine definitiva di epoche che
sembravano eterne, immutabili. La storia continuerà, però il mondo avrà cambiato d’aspetto.
Gesù annuncia che dopo la distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio (che avverrà nel 70 ad
opera dei Romani) inizia una nuova tappa nell’umanità. La caduta e la scomparsa dell’istituzione
religiosa giudaica non sono la fine, ma una prima tappa di quel processo irreversibile nella storia
che vedrà la caduta di tutti quei poteri che si oppongono alla realizzazione del regno di Dio. Ogni
regime basato sul potere e sul dominio sugli uomini ha già in sé il germe della propria distruzione,
come un gigante dai piedi di argilla (Dn 2,33).
La caduta di un regime che sembrava eterno può sembrare la fine del mondo, ma non è la
fine del mondo, bensì di un mondo. Lo stesso Sant’Agostino, nel 429, vedendo scricchiolare
l’impero sotto le insidie dei Vandali comandati da Genserico, pensò che fosse imminente la fine del
mondo: per lui non era concepibile il mondo senza l’impero romano. Pertanto non c’è da temere alcuna apocalisse, ma solo da realizzarla. Il termine greco
tradotto con apocalisse non significa altro che rivelazione. E qual è questa rivelazione? Non di
catastrofi spaventose che terrorizzano gli uomini, ma la rivelazione che Dio sta sempre dalla parte
degli oppressi e mai degli oppressori, dei perseguitati e mai dei persecutori. È questa la rivelazione
che anima e incoraggia la comunità cristiana e le dà la forza di portare avanti il messaggio della
buona notizia in una società avversa, con la certezza che ogni regime oppressore vedrà la sua fine.