AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

lunedì 20 ottobre 2025

IL CUORE DELL'UOMO E' COME UNA FINESTRA

 


C’era una volta un vecchio eremita, molto anziano, che viveva in una cella piccola e profumata di incenso. Il suo cuore batteva piano, come una campana lontana. I giovani venivano a trovarlo, e lui sorrideva con gli occhi pieni di cielo. Un giorno, un giovane gli chiese: “Padre, come si fa ad avere un cuore puro?”. Il vecchio chiuse gli occhi, poi disse: “Un cuore puro è come una finestra. All’inizio può essere sporca, appannata e piena di macchie. Ma se la pulisci con il silenzio, la preghiera e un po’ di lacrime, comincia a lasciar passare la luce.” “E poi?” chiese il giovane. “Poi non vedi più la finestra. Vedi solo il sole.” Il giovane tacque. Il vecchio sorrise. 
E il suo cuore, da quel giorno, sembrò battere per tutti.
Scoprì che il suo cuore era abitato da Dio.

Il cuore dell'uomo è come una finestra.
E' veramente pulito solo se lo guardi contro luce.
La luce di Dio

"Beati i puri di cuore perché vedranno Dio"
(Vangelo di Matteo 5,8)

Festa di San Lorenzo a Verici, la fraternità e la cura LETTERA AL PADRE di Padre MAURO ARMANINO





Lettera al padre

Partito oggi ma nel passato millennio. Il 16 ottobre dello stesso anno della malattia di tuo figlio che avrebbe dovuto partire prima di te. Invece no. Dicevi che quello che avevi sofferto in quel mese di luglio dell’ottantadue non si poteva dire a parole. Solo col cuore si poteva e per questo, nella notte di quel giorno, il tuo si è fermato quanto basta. Erano passati cinquantasei anni dalla tua stessa nascita. Gli anni di lavoro nella fornace dei mattoni di Pila sul Gromolo a Sestri Levante, oggi inghiottita dal nulla, avevano fatto anch’essi la loro parte. Un lavoro di manualità e col forno per cuocere i mattoni e il refrattario all’antica. Pochi gli indumenti di lavoro e ancora meno le protezioni. Il motivo per cui le dita delle mani erano consumate dal calore e la ruvidezza del prodotto. A poco servivano le gomme ritagliate delle camere d’aria di moto e biciclette. La pelle era consumata, come la vita da partigiano.
Nel libro ‘Sguardi di libertà’, pubblicato dall’Anpi di Casarza Ligure, Val Petronio e Alta Val di Vara, si ricorda che, nato nel ventisei hai raggiunto la formazione partigiana nel mese di agosto del quarantaquattro. Avevi 18 anni quando integrasti il gruppo combattente fino alla conclusione, il venticinque aprile dell’anno seguente. Testimonianze probanti assicurano che tu, il partigiano Kent, così il tuo nome di battaglia, aveva rifiutato di imbracciare il mitra ‘sten’ propostogli. Ti eri in cambio specializzato per condurre gli indispensabili muli sulle montagne di confine tra lo spezzino e il parmense. Non sono molti i ricordi che hai voluto lasciare di questo periodo breve e intenso della tua vita. Solo conservavi e, con pudore, trasmettevi la memoria di un vissuto che avrebbe marcato il resto della tua vita.
Il tuo impegno sindacale nella Filca Cisl, Federazione italiana lavoratori costruzioni e affini, appare in continuità con l’esperienza partigiana. Da delegato di base visitavi i cantieri edili e, all’interno della ‘Fornace’ ti industriavi perché i diritti dei lavoratori fossero riconosciuti e rispettati. Leggevi spesso ‘Il lavoro’, noto quotidiano genovese nato nel 1903 e chiuso nel 1992, dieci anni dopo il suo transito terreno. Entrambi i tuoi due figli seguirono le tue orme e si impegnarono nelle vicende e lotte sindacali di quegli ‘anni di piombo’, come vennero in seguito chiamati. Nostra madre, tua sposa di estrazione contadina, non era sempre favorevole al nostro coinvolgimento sindacale. Amante com’era della giustizia e della verità non poteva che, segretamente, apprezzarci. Nondimeno l’ambito nel quale si sviluppò la continuità maggiore con la tua esperienza partigiana fu la famiglia.
Orfano assai presto di padre e, in modo drammatico di madre, percepisti il valore unico e insostituibile della famiglia. Una vita non facile, marcata dalla disoccupazione post-bellica e condizioni di vita povere e degne allo stesso tempo. Mentre, col tempo e la tenacia, la tua famiglia incontrò maggiore serenità anche economica. La cosa più bella, tra noi, era proprio l’esperienza concreta di quella libertà alla quale ti eri dissetato nei lunghi mesi partigiani tra stenti, paure e certezze. Il mondo nuovo era a portata di mano. Questa era ciò che noi figli abbiamo respirato per gli anni che ci sono stati concessi di condividere in famiglia e che continuano a ispirare i nostri sentieri. Non è stato casuale che, il giorno della tua sepoltura nel piccolo cimitero di collina, nel paese dove ti eri sposato con nostra madre, piovesse forte. Dio aveva forse voluto darti, a suo modo, l’ultimo sguardo di libertà.

Mauro Armanino, Casarza Ligure, 16 ottobre 2025

domenica 19 ottobre 2025

I NOVISSIMI" LA VITA ETERNA conferenza di Padre CLAUDIO TRUZZI OCD ULTIME REALTA' parte prima, LA MORTE

LE ULTIME REALTA’ [I “NOVISSIMI”]

1 – LA MORTE

•  Morte cristiana – Catechismo (1020)

La tomba di Fra Jean Thierry Ebogo a Nkolbisson (Camerun), dove riposano le spoglie mortali di Jean-Thierry Ebogo, frate Carmelitano

•  Morte cristiana – Catechismo (1020)

«Per il cristiano, che unisce la propria morte a quella di Gesù, la morte è come un andare verso di Lui ed entrare nella vita eterna. Quando la Chiesa ha pronunciato, per l'ultima volta, le parole di perdono dell'assoluzione di Cristo sul cristiano morente, l'ha segnato, per l'ultima volta, con una unzione fortificante e gli ha dato Cristo nel Viatico come nutrimento per il viaggio, a lui si rivolge con queste dolci e rassicuranti parole:

«Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. [...] Tu possa tornare al tuo Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. [...] Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno».

• “Se Dio è buono, perché la morte?”

Non avremmo difficoltà a trovare nella Bibbia un certo numero di passi in cui la morte è accettata senza problema alcuno, quietamente: per esempio il racconto della morte di Giacobbe (Genesi 49,29-33), di Giuseppe (Genesi 50,24-26) e di Mosè (Deuteronomio 34). 

Non sono, tuttavia, i passi più numerosi. Perché?

All'uomo biblico la morte fa problema e costituisce il punto nevralgico d’una tensione che giunge al cuore della fede. Israele crede in un Dio buono, che ha creato il mondo e l'uomo, guida la storia e opera per la vita. Ma allo stesso tempo, l'israelita, come ogni uomo, sperimenta la malattia, la sofferenza, l'ingiustizia, la fatica e la morte. In una parola s’imbatte nell'ambiguità d’un'esistenza che sembra contraddire quella presenza di Dio, che invece la fede pretende affermare: "Noi moriamo e siamo come acqua che scorre" (2 Sam. 14,14). 

Se, allora, Dio è per la vita, perché la morte? È dallo scontro fra queste due esperienze (da una parte, la certezza d’un Dio buono e fedele alla vita e nell'uomo la voglia di vivere, e dall'altra la morte, che sembra tutto smentire) che scaturisce, dapprima, lo scandalo della morte e, poi, la speranza di fronte alla morte.

Non possiamo qui descrivere tutti i risvolti di tale dibattito, mostrando come Israele si sia anzitutto preoccupato di difendere Dio (cioè, le storture dell'esistenza non risalgono alla volontà di Dio, ma al peccato dell'uomo (Gen. 3); e in tal modo, mette al sicuro anche lo stesso significato della vita.  

Ci basterà un cenno alla riflessione di Qoèlet, la più lucida e radicale dell’interna Bibbia. Qoèlet [un saggio vissuto probabilmente nel III secolo avanti Cristo] afferma che la "fatica di vivere" è "vanità": parola che indica soffio, fumo, qualcosa d’inconsistente e d’ingannevole che da lontano t’incanta, ma quando l'hai tra le mani ti delude. Tale è l'affannarsi dell'uomo ed ogni sua ricerca, compresa la ricerca della saggezza, compresa la ricerca dei cosiddetti “valori”: t’affatichi a realizzarli, ma poi la morte distrugge ogni cosa, ed il saggio e lo stolto sono accomunati nel medesimo fallimento: ambedue muoiono allo stesso modo!

Qoèlet – e con lui l'Antico Testamento – vede la morte come la fine di ogni possibilità; la morte toglie ogni senso allo sforzo dell'uomo per costruire un mondo migliore (quale mondo sarà mai all'altezza dell'uomo, se sarà sempre segnato dalla morte?), alla stessa speranza messianica.

È a questo punto che si inserisce l'intuizione – semplice e fondamentale –, senza cui tutta la speranza biblica sarebbe irrimediabilmente crollata – del libro della Sapienza: "Dio ha creato l'uomo per l'immortalità" (2, 23). In altre parole: non è possibile che Dio abbandoni il giusto nella morte; non è pensabile che Egli ponga sullo stesso piano il bene e il male, il valore e il non valore: Dio è fedele, e non può aver creato l'uomo con tanta sete di vita, per poi deluderlo. 

La potenza di Dio farà risorgere i morti. È questa la grande speranza – che la morte e risurrezione di Gesù non farà che confermare –, cui la ricerca di Israele è alla fine approdata. Una speranza, che è completamente religiosa, e non poggia sull'uomo, sui suoi costitutivi, ma unicamente sulla fedeltà di Dio.

•   PARLARE DELLA MORTE?

«Una mia parente anziana continua a rimproverarmi perché non porto i miei due figli adolescenti a vedere i parenti morti e non li abituo a meditare sulla morte. Io credo che in queste pratiche ci sia più del sadismo che del cristianesimo, ma poiché questa insiste vorrei una risposta fondata e definitiva. Grazie!»                    

*  Il tema è complesso, vi si intrecciano psicologia e teologia.

Sul piano psicologico non posso parlare da tecnico; tuttavia, vorrei osservare come i nostri giovani siano assaliti da un’infinità di immagini virtuali violente ed orribili ben peggiori della vista di un parente morto. Certamente il mondo della finzione televisiva non prepara alla vita come il rapporto interpersonale e l’esperienza vissuta nella realtà; per questo è ritenuto più indolore. Ma aiuta veramente a vivere in modo più umano? La psicologia ricorda quanto sia importante in ogni età, e, segnatamente in quella adolescenziale, condividere le esperienze forti che la vita ci fa sperimentare, per accettarle e intuirne un po' il senso. 

Purtroppo, spesso deleghiamo ad Enti e Organizzazioni tutto ciò: l’anziano, il malato, il morente sono relegati nelle apposite strutture, l’adolescente è scaricato in qualche gruppo, ecc… La condivisione non si trova come i funghi; va pazientemente coltivata!

Per quanto riguarda la meditazione sulla morte, il discorso è veramente cristiano quando al centro si pone il mistero della morte risurrezione di Cristo e il suo legame con la nostra vita, in cui accade anche la morte. Se corretto, il discorso non è assolutamente sadico e porta, invece, al rispetto e alla valorizzazione della mia ed altrui vita. È vero che certi libri di meditazione sono un po’ macabri e superati, ma il Vangelo è un’altra cosa! Il suo annuncio centrale è "Cristo è morto per i nostri peccati e Dio l’ha resuscitato"!

•  Simile alla prima domanda è la seguente:

«Ho letto in diversi testi di psicologia che è dannoso per la psiche dei bambini e degli adolescenti meditare sulla morte e, quindi anche sulla “Passione del Signore”: tutto questo favorirebbe l'insorgere di spinte alla violenza ... Io non so come giudicare, ma personalmente sono stato educato a "visitare i morti" e a frequentare le cerimonie della Settimana Santa fin da bambino e non credo di essere un "violento"; anzi, il ricordo del Signore "mite agnello" e del passare di questa vita mi hanno aiutato ad essere un po' meno cattivo. Lei cosa pensa? Tenga conto che ho dei bambini.».

La mia risposta – anche qui – non ha il supporto di una laurea in psicologia; tuttavia, credo di potere fare alcune osservazioni molto semplici e pratiche.

– Il male più grave dei nostri bambini ed adolescenti è il poco aiuto che ricevono dalla società (famiglia in prima fila) nell'affrontare la realtà e cercare di comprenderne il senso e il fine ultimo.

– I cosiddetti adulti hanno poca chiarezza circa i valori e i metodi educativi e forse involontariamente preferiscono delegare il compito di accompagnare verso le responsabilità della vita i giovani.

– Mi chiedo se tanto zelo nel "proteggere" dalla realtà della vita si riscontra anche nei riguardi del costante bombardamento di violenza e scene horror da parte dei media?

     Tutto esige misura e buon senso. Pure per un adulto meditare sulla morte non deve significare un intrattenersi morbosamente sulla morte fisica, così come il rivivere la Passione di Gesù non significa autosuggestione volta a riprodurre in sé o negli altri angoscia e sofferenza.

     Nessuno però potrà negare che il bambino si interroghi di fronte alla morte di una persona che gli era particolarmente vicina, o che un adolescente non sia colpito dalla morte di un coetaneo. 

Anche i gesti generosi ed eroici attraggono i giovani e possono essere di stimolo per il loro impegno di vita. 

E certamente l'esempio di Cristo è più costruttivo ed equilibrato delle gesta di certi personaggi da fumetti,... mi si perdoni il paragone!

Per quanto riguarda le usanze di certe località nel ricostruire la Passione, credo che siano più fonte di socializzazione che di trauma, e vorrei chiedere a certi giornalisti perché i riti di certe culture sono sempre e solo “liberanti”, mentre quelli della tradizione cristiana, sempre e solo inibenti.

     Non intendo concludere in polemica, ma semplicemente ricordare che in tutta la sua vita l'uomo ha bisogno di aiuto e condivisione per non smarrirsi nell'angoscia del non-senso, e che – lo affermano pedagogisti e psicologi –, la fonte primaria e più virulenta della violenza è la mancanza di amore, di affetto, di vicinanza solidale nella propria infanzia..

• “RIPOSO” ETERNO?

«È appena passato il “mese dei morti”, e naturalmente anch’io sono andato al cimitero e pregato per i miei cari. Mentre recitavo la preghiera “Requiem Aeternum”, m’è sorta una domanda: “Perché chiediamo a Dio di dare l'eterno riposo ai nostri defunti, anziché l'eterna gioia? Secondo la nostra fede e quanto insegna la Chiesa, l’“Aldilà” non è un “dormitorio”, bensì un luogo di felicità duratura».      

Nel rito conclusivo delle esequie si trova un antico testo responsoriale, che è diventato una preghiera comune per i defunti, inserita persino nei catechismi della CEI: «L'eterno riposo donagli (dona loro), Signore, e splenda a lui (ad essi) la luce perpetua». 

A qualcuno la preghiera per il “riposo eterno” non piace, perché richiama l'idea d’immobilità, di cessazione da ogni lavoro; suggerisce, perciò, di trasformarla in "gioia e vita eterna”. L'aggiunta: "riposino in pace" può, infatti, evocare l'Aldilà come un "dormitorio", anziché una comunione con Dio.

•  Premettiamo due osservazioni. 

– La prima, quasi di tristezza, perché d’un ricchissimo patrimonio di preghiere per i defunti. [Si conta-no ben 113 orazioni classiche, 5 prefazi, varie intercessioni e numerosissime invocazioni nei vespri di tutto l'anno] – la maggioranza dei cattolici conosce solo il "Requiem Aeternum", che è una risposta cantata, non certo tra le migliori, od almeno tra le più comprensibili. 

Una semplice rassegna dei contenuti di tali preghiere ci pone di fronte ad una visione serena e fiduciosa, spesso ridondante di gioia, di luce, di pace, di beatitudine, con l'ingresso nella società dei Santi. 

Non v’è in esse cenno di sofferenze; tanto meno di fuoco o di carcere orrendo. È questo lo sfondo di serena e luminosa contemplazione in cui si colloca la preghiera per i cristiani morti nel segno della fede, con la certezza che essi vivono in Cristo, in attesa della pienezza della beatitudine. Non manca l'accenno alle colpe commesse, né la richiesta di liberazione, ma ci si appella alla misericordia di Dio e all'opera salvifica di Cristo. 

– La seconda osservazione riguarda il linguaggio liturgico, totalmente dipendente nelle immagini, nei concetti, nelle espressioni, dal linguaggio biblico. Poiché nulla ci è stato rivelato da Dio circa la condizione futura dei defunti, la Chiesa si è attenuta alle immagini bibliche, in particolare a tre parole fondamentali e di grande valore simbolico: riposo, luce, pace. 

Queste tre termini indicano la condizione di quanti, come credenti in Cristo ed in comunione con la Chiesa, si sono addormentati (scrive san Paolo) nella speranza della risurrezione finale. 

Se il "sonno" corrisponde al senso cristiano della morte, cui segue il risveglio (si pensi alle parole di Gesù sull'amico Lazzaro, in Gv 11,11), la "luce" rimanda direttamente a Dio, che proprio per Israele è "il Dio di luce!”, ed a Gesù che si proclama "luce del mondo": la luce "simbolo di vita e di gioia”. 

Il termine "pace" riassume l'aspirazione alla felicità, ed è il saluto non solo ebraico e musulmano, ma tipicamente cristiano, dal Gesù donato ai discepoli dopo la risurrezione: "Pace a voi!" (Gv 20,19). 

Il "riposo" è la parola che compare nel primo libro della Bibbia, ove si sottolinea il riposo di Dio al termine della creazione (Gn 2,2), cioè la sua condizione divina, con un valore normativo per l'uomo chiamato a vivere in comunione con Lui, e, dopo tanti riferimenti, nell'Apocalisse (14,13), ove si afferma: «Beati i morti che muoiono nel Signore. Già lo Spirito Santo dice: essi riposano dalle loro fatiche». Nei due testi si parla del "riposo di Dio" e del "riposo di Cristo", che non esclude affatto l'attività e la pienezza di vita («Mio Padre è all’opera fino adesso ed anch’io sono all’opera» Gv 5,17), ma compimento dell'esistenza terrena e partecipazione alla condizione divina, come un bene promesso e poi concesso.

•   Che cosa accade quando si “muore”?

«Una nostra compagna ha letto un giornale che negli Stati Uniti una bambina di 7 anni è annegata cadendo in piscina. Ripescata e sottoposta a rianimazione, è rimasta in coma per tre giorni. Ripresasi, ha raccontato d’essere morta e di essersi trovata in una galleria buia, che s’è illuminata dopo l'apparizione di una donna bionda, con la quale si è avviata verso il Paradiso. Ha visto molta gente, tra cui i nonni ed una zia materna morti precedentemente. Ha poi incontrato Dio e Gesù; ed infine s’è svegliata in ospedale. Questa notizia ha suscitato in noi un grande interesse. Ci siamo chiesti se si sia trattato di un sogno o di una realtà. Per questo vi abbiamo scritto sperando di avere un'ampia risposta».

Ciò che ha raccontato questa bambina è molto simile alle esperienze che hanno dichiarato di aver fatto tante altre persone in varie parti del mondo. Ci sono stati degli studiosi che hanno intervistato molte di queste persone, dichiarate morte dai medici e poi rianimate. I numerosi elementi in comune delle relazioni di queste persone intervistate potrebbero anche confermare che non ci troviamo di fronte a dei sogni, ma ad una realtà.

Ecco a grandi linee come viene descritta questa loro singolare esperienza. 

Una persona si sta spegnendo e sente dire dal medico che essa è clinicamente morta. Subito dopo sente di muoversi rapidamente lungo una galleria buia. Giunta al termine, avverte improvvisamente di essere uscita dal proprio corpo, pur trovandosi ancora nel mondo di prima, e vede in lontananza, come uno spettatore, questo suo corpo. Osserva i tentativi di rianimazione che vengono fatti attorno a lei. Intanto altri individui le si avvicinano per aiutarla. Scorge gli spiriti di parenti ed amici già morti, e poi le appare uno spirito di amore, un Essere di Luce. Questo le rivolge, senza parole, una domanda che la esorta a valutare la propria vita mostrandogliene, come in un flashback, gli avvenimenti più importanti. Ad un tratto si trova vicina ad una barriera, che sembra rappresentare la linea di confine tra la vita terrena e l'altra vita. Ma sente che non è ancora giunto per lei il momento della morte e che deve perciò ritornare indietro. Tenta di opporsi perché, attirata ormai dalla luce ed affascinata dall'altra vita, non vorrebbe più ritornare in questa. Alla fine, tuttavia, si riunisce al suo corpo fisico e ritorna sulla terra. L'esperienza fatta però segnerà profondamente il restante della sua esistenza.

•  Che cosa dire? Lasciamo agli studiosi di approfondire il fenomeno. Per quanto ci riguarda è interessante notare come il racconto di queste persone confermi, comunque, ciò che Gesù insegna nel Vangelo. 

• – Innanzitutto, con la morte non finisce la persona, ma inizia la sua vera vita. Quante volte Gesù ci raccomanda di vivere in modo da poter essere ammessi a quella vita che non termina mai!. Nel momento della morte distingueremo con chiarezza ciò che ha valore da ciò che non ne ha. E lui ci ha già detto in anticipo quali sono le cose che contano. Vale quindi la pena di orientare sin da ora la nostra vita secondo la sua parola.

   –  Altro elemento che viene in evidenza è il senso di grande fiducia e di pace che le persone hanno provato al comparire dell'Essere di Luce. Tutto questo s’accorda perfettamente col Vangelo. Gesù ci parla sempre della morte come del momento più importante, ma anche il più bello della esistenza, perché ci riunisce a Lui, la meta verso cui dovremmo tendere con tutte le forze della mente e del cuore. 

–  Gesù è “andato” per prepararci un posto in cielo. Vuole che noi lo raggiungiamo per stare sempre con Lui, e nessuno potrà più toglierci quella gioia che egli ci tiene in serbo. Questo pensiero mi sembra molto bello, perché ci aiuta a superare quella paura ed orrore istintivo che noi solitamente proviamo al pensiero della morte.

Ma ciò che colpisce maggiormente è l'amore con cui tutte queste persone si sono sentite accolte dall'Essere di Luce. Esse vedevano soltanto una grande luce, ma erano certe di trovarsi di fronte ad una persona, di fronte a Dio o a Gesù, dal quale emanava un senso di pace e di serenità ed un amore che le affascinava e le attirava in modo irresistibile. Egli rivolgeva loro delle domande: “Sei pronto a morire? Mi ami tu?”. In queste domande esse non avvertivano nessun atteggiamento di accusa o di condanna, ma piuttosto un grande desiderio di aiutarle ad orientarsi ed a fare un buon uso della vita, nella quale sarebbero ritornate. 

• Pure questi particolari corrispondono a quanto afferma la verità più grande e consolante della nostra fede: Gesù ci ama immensamente. Lui ha detto di non essere venuto nel mondo per condannare gli uomini, ma per salvarli. Ha anche aggiunto: «Nessuno ha più grande amore di colui che dà la vita per i suoi amici». Ed è chiaro che voleva riferirsi a tutto quello che Egli ha fatto per noi. 

Immaginiamoci, quindi, con quale amore Gesù ci accoglierà e ci aiuterà quando ci presenteremo davanti a Lui nel momento della morte.

giovedì 16 ottobre 2025

BENVENUTO|

Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi