AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

domenica 5 maggio 2024

VOCI DAL SOTTOSUOLO di P. MAURO ARMANINO


Padre Mauro Armanino con i suoi bimbi del catechismo

Voci dal sottosuolo

Parla poco o nulla l’inglese ed è nullo in francese. Mohammed si presenta una mattina col foglio plastificato dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati rilasciatogli dall’ufficio di Niamey. Da allora passa ogni due settimane per salutare e ottenere di che sopravvivere qualche giorno in più. Invece di continuare ad alloggiarsi in strada, presso l’ufficio delle Nazioni Unite, tra polvere, vento e pioggia quando sarà la stagione, ha trovato un posto presso la ‘Casa del Togo’. I responsabili delle Casa accolgono anche migranti o rifugiati originari di altre nazionalità e offrono l’alloggio, i servizi igienici e un minimo di decenza per il riposo. Per ragioni comprensibili non sono in grado di nutrire gli ospiti che, in qualche modo, devono darsi da fare in un contesto complicato per tutti e in particolare per uno straniero che incapace di comunicare.

Le segnalazioni all’Ufficio, per vari motivi, non hanno prodotto nessun risultato apprezzabile. Mohammed possiede un documento delle Nazioni Unite e un altro dell’Ufficio Nazionale di Eleggibilità che lo riconosce, per ora, come richiedente asilo. Dopo un anno circa, fatte le debite indagini, detto ufficio deciderà se Mohammed potrà essere riconosciuto come rifugiato a pieno titolo. Nel frattempo, Mohammed non esiste per nessuno. Non ha una casa, un minimo di aiuto finanziario e neppure un futuro che vada oltre l’infinita e temibile attesa quotidiana del cibo. Mohammed, è stato battezzato in Egitto col nome di Gabriele o Jibril. Passa talvolta la domenica mattina per la preghiera presso la piccola comunità di credenti cattolici nel quartiere di Niamey chiamato ‘Francofonia’, a causa dei giochi omonimi celebrati nel lontano 2005.

Nella lettera che recapita stamane, debitamente tradotta in lingua francese, si intravvede meglio il tipo di avventura che l’ha condotto fino a Niamey l’anno scorso. Nato a Sabha al sud di Tripoli in Libia, ivi ha vissuto con la famiglia composta dai genitori, una sorella minore e due fratelli maggiori. Trasferitosi a Tripoli coi genitori torna in seguito a Sabha per completare gli studi universitari e nel 2009, all’età di 19 anni, unico della famiglia, si converte al cristianesimo. La famiglia, musulmana, accetta la scelta del figlio e il padre gli consiglia di conservare la discrezione sul fattore religioso. Quando può parte in Tunisia per unirsi a comunità cristiane più o meno clandestine finché il padre lo manda in India per una tesi e un master in economia. Fine 2013 torna in Libia per la morte della sorella a causa di una malattia.

Nel frattempo, alcuni membri della famiglia paterna ‘scoprono’ la sua nuova affiliazione religiosa e lo tacciano di ‘Kafir’, non credente o infedele. Ciò lo porta ad essere imprigionato e violentato. La sua famiglia non può visitarlo ed è solo grazie ad un conflitto tra milizie che può evadere dalla prigione. Suo padre lo spinge a lasciare il Paese e a rifugiarsi in Egitto dove Jibril conosce le Chiese copte ed è battezzato. Apprende la morte del padre e dei fratelli, uccisi in prigione. Nel 2018 si trova in Turchia e torna in Tunisia nel 2022 per qualche mese prima di entrare in Algeria e chiedere assistenza presso l’Ufficio per i Rifugiati di Algeri. L’anno seguente è informato della morte di sua madre e nel mese di settembre i militari, malgrado il documento che lo riconosce come rifugiato, lo deportano e, con altri come lui, lo abbandonano nel deserto.

Da allora Mohammed Jibril si trova a Niamey tra timori, ansietà e incertezze di un futuro che non offre, per ora, gli orizzonti sperati. Tornare in Libia sarebbe la sua morte. Termina la lettera con i ricordi di violenze carnali subite in carcere che non passano mai e dice di immaginare ciò che significhi quando qualcuno, dietro voi vi dice che siete suo. Jibril ringrazia e sorride prima di partire a rinnovare il documento di richiedente asilo per altri tre mesi. Malgrado la vita sia difficile ringrazia il Niger per l’accoglienza.

              Mauro Armanino, Niamey, maggio 2024


martedì 30 aprile 2024

I TRE NAUFRAGI AFRICANI DELL'OCCIDENTE di Padre MAURO ARMANINO

                           

I tre naufragi africani dell’Occidente

A fare naufragio nel Mediterraneo o l’Atlantico non sono solo i migranti o i richiedenti asilo che allungano l’elenco degli scomparsi nelle acque che uniscono (e separano) i continenti. Ciò che, forse meno palesemente ma non con minori conseguenze, sono i naufragi del continente europeo in Africa o, meglio, nelle Afriche che la costituiscono. Un osservatorio privilegiato di questi processi storici è, tra gli altri, il Sahel dove chi scrive si trova da oltre 13 anni. Un tempo che, ‘abitato‘ da avvenimenti come le chiese bruciate di Zinder e Niamey nel 2015, il rapimento dell’amico Pierluigi Maccalli nel 2018 e l’ennesimo colpo di stato del luglio scorso ha offerto emozioni, riflessioni e ricerca di senso. Come tutto qui, peraltro, è un pensiero di ‘sabbia’.

  Padre Pierluigi Maccalli da Papa Francesco, dopo la liberazione dal rapimento nel 2018

Dopo aver spinto i militari francesi ad abbandonare il Niger è adesso la volta della presenza militare americana e le sue due basi militari ad organizzare una ritirata ‘ordinata e responsabile’ dal paese. Rimangono, patetici, un gruppo di militari tedeschi e, più numerosi, italiani in ‘vigile attesa’ delle decisioni della giunta militare al potere (e dei russi ormai bene installati). Appare surreale quanto l’ambasciata italiana ha organizzato nella capitale Niamey. Si tratta di una conferenza prevista all’università e di una mostra su Pinocchio sullo sfondo del ‘ Design italiano come forza motrice dell’innovazione e creatività’. Già nel passato erano state organizzate le giornate della cucina italiana oltreché dei film italiani d’autore.

C’è naturalmente di peggio nella vita diplomatica di una Paese e nondimeno quanto citato lascia presagire qualcosa del dramma a cui facevo allusione nell’introduzione. Essi si manifestano, dall’osservatorio di ‘sabbia’ del Sahel, con tre tipi di naufragio di cui il primo si trova nello ‘sguardo’. In effetti, malgrado le critiche, i lavori degli antropologi e i cambiamenti occorsi nell’interpretazione delle culture, lo sguardo dell’Occidente sulle Afriche, non riesce a liberarsi dal passato ‘coloniale’. Uno sguardo, quello occidentale, che continua a presumersi unico e dunque in grado di giudicare, dal ‘suo’ centro e punto di vista ogni differenza in fondo intesa come inferiorità rispetto al modello unico europeo. 

Forse non si è capito ancora che anche gli africani hanno smesso di parlare con la bocca degli altri e di guardare con gli occhi degli altri. Hanno scelto di usare la propria bocca e i propri occhi per raccontarsi. L’incapacità di mettersi all’ascolto dell’altro è proprio ciò che ha costituito il secondo naufragio dell’Occidente. L’arroganza del potere della tecnica, dell’economia e, non dimentichiamo, delle armi, ha creato la temibile malattia della sordità europea che parla di se stessa e a se stessa senza mai uscire da se stessa. In tutti questi anni di progetti di sviluppo, assistenze umanitarie e accordi bilaterali il grande assente è stato l’ascolto attento e umile di chi avrebbe potuto salvare l’Europa da se stessa.


Infine, alla radice dei naufragi giace il grande tradimento che avrebbe comportato lo smarrimento del pensiero e dell’etica ad esso conseguente. Si tratta della drammatica separazione della spiritualità dalla vita quotidiana, la mutilazione non casuale di ogni interiorità, la perdita del sacro, dell’anima e di quanto costituisce la dignità della persona. L’espropriazione di questa dimensione essenziale è stata l’opera fondamentale del capitalismo che il neoliberismo continua a completare. Le Afriche non accetteranno facilmente di essere svenduti alle ideologie dominanti nell’Occidente etico. Per chi ‘ogni giorno in più è una vita’ non è credibile che il cambiamento di sesso dei bimbi o le bandiere arcobaleno LGBT siano una priorità.

                  Mauro Armanino, Niamey, aprile 2023

                                                                         

sabato 20 aprile 2024

L'ULTIMA DIMORA DI ETO'O, MIGRANTE SENZA FINE di P. MAURO ARMANINO

 


L’ultima dimora di  Eto’o, migrante senza fine


Era chiamato familiarmente Eto’o dai compagni viaggio, come il noto giocatore di calcio camerunese. Anche lui, Feliciano, era originario dello stesso Paese e, a suo modo, era famoso nell’ambito delle migrazioni. Partito in fretta per l’Algeria poi dalla Tunisia che aveva raggiunto, si era recato a Dubai e, da lì tornò al suo Paese natale. Ripartito per Dubai una seconda volta aveva conosciuto espulsione col ritorno forzato al Camerun. Dopo qualche tempo, mosso da qualcosa di indefinibile, aveva raggiunto il Ghana e successivamente, con l’amico Giovanni, il Togo anch’esso adagiato sulle coste atlantiche. La voce che li chiamava si trasformava una volta di più in una irresistibile seduzione e, con l’amico hanno raggiunto la frontiera dell’Algeria. Vista la repressione delle autorità algerine nei confronti dei cercatori di utopie, hanno scelto di tornare indietro sullo stesso cammino dell’andata. Giunti a Niamey si sono sommariamente presentati agli altri residenti della diaspora camerunese e si sono in seguito eclissati in uno dei quartieri.
Eto’o ha cercato di curare i dolori atroci che sentiva al dente. In seguito all’assunzione forse esagerata di medicinali antidolorifici venduti in strada è stato costretto a usufruire delle cure di una clinica privata della zona. Nel frattempo, le sue condizioni di salute peggioravano e, oltre ai dolori intestinali si era prodotto un blocco renale che rendeva la sua situazione disperata. Raggiunto il Servizio Migranti ormai moribondo è stato accompagnato all’ospedale universitario e operato d’urgenza. Era però troppo tardi e Feliciano è morto all’età di 37 anni a Niamey da due giorni. Il feretro di legno compensato con apposta una croce sulla parte superiore è già pronto. La tomba è stata scavata nel nuovo cimitero cristiano della capitale e solo si aspetta che qualche membro della famiglia lo raggiunga per seppellirlo nella capiente e umile sabbia del Niger. Una croce porterà scritto il nome, la data di nascita e quella del transito migrante più impegnativo. Lui, Eto’o, che ha fatto della sua vita una migrazione e della migrazione la sua vita si è fermato a Niamey.
Oppure no. La casa a forma di tomba scavata nella sabbia carezzata dal vento e seccata dal calore della stagione è l’ultima per chi pensa che la migrazione di Eto’o sia terminata. Molti che l’hanno conosciuto giurano che non è così. Proprio adesso che tutto sembra finito è invece iniziato per Feliciano il viaggio verso ciò che ha sempre sperato, creduto e cercato. Una dimora nella quale i Paesi, le frontiere e il colore del mare si mescolano con le lacrime di gioia di chi ha raggiunto, finalmente, ciò che molti non osano più immaginare. Nel silenzio che circonda il cimitero, il vento porta lontano la speranza che Eto’o ha camminato e che altri incauti avventurieri abiteranno nella sognata terra della libertà.



                    Mauro Armanino, Niamey, aprile 2024

                                                                                    

lunedì 15 aprile 2024

GEOPOLITICHE DI SABBIA NEL NIGER E DINTORNI di PADRE MAURO ARMANINO

 


Geopolitiche di sabbia nel Niger e dintorni

Nelle definizioni la geopolitica è lo ‘studio dei rapporti tra i fattori geografici e le azioni o le situazioni politiche’. Dette relazioni non sono qualcosa di meramente ‘contemplativo’ quanto finalizzate ad un potere militare, politico, economico e culturale. Nel nostro Paese il Niger e nei dintorni, entrambi i fattori in gioco sono essenzialmente costituiti dalla ‘sabbia’. La geografia e la politica, in un contesto di concorrenza o egemonia per il potere, si articolano e sviluppano attorno a questo elemento unico che ne definisce l’identità e l’immaginario. Il putsch di fine luglio dell’anno scorso era stato lui stesso di sabbia e, strada facendo, le scelte operate dalla giunta militare al potere, non hanno fatto che confermare e rendere più certa questa evidenza. L’Alleanza degli Stati del Sahel, Burkina Faso, Mali e Niger. L’annunciata fuoriuscita dal consesso della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale.  L’espulsione dei militari francesi e americani con le rispettive basi dal territorio nigerino sono andate di pari passo con trattati di cooperazione militare, tecnica ed economica con la Federazione Russa. Le bandiere di quest’ultima, apparse in modo quasi aneddotico fin dall’inizio delle manifestazioni pro-giunta, non erano dunque casuali. 
L’idea di sovranità, rivista, tradotta e applicata in questi mesi, continua ad apparire come idea motivante di una parte della società civile e del popolo stesso. Anni di frustrazione, di svendita del Paese all’Occidente e di violazione dei dettati costituzionali in particolare nell’ultimo decennio, hanno facilitato il processo di dissoluzione delle istituzioni per lasciare il posto al un ‘regime di sabbia’. Quest’ultimo, accaparratosi del potere grazie alla detenzione del presidente nella sua dimora, ha operato le scelte di cui sopra senza che la tanto decantata sovranità del popolo sia stata presa in considerazione. Un popolo che la sabbia ha creato, modellato, formato e reso a sua immagine e cioè silenzioso, resiliente e capace di sopravvivere in ogni circostanza e prova. Un popolo di sabbia che osserva, giudica, soppesa i regimi che si susseguono nella sua storia e, reso cosciente dalla sofferenza e le privazioni, custodisce il sapore antico della dignità. Proprio quest’ultima, confiscata da una elite politica che il potere ha corrotto e reso servile alle geopolitiche occidentali, ha trovato l’opportunità di risorgere dalla dimenticanza nella quale era stata sepolta. Non accada, dunque, che venga una volta di più tradita da chi pensa di detenere la chiave della verità.
Ognuno, nel Sahel come altrove nel mondo, fa il suo gioco e cerca i propri interessi. Di questo parlano e raccontano le geopolitiche di sabbia che si fanno concorrenza e che prendono questa porzione d’Africa come luogo di un’altra spartizione di potere o corsa per chi svilupperà la propria influenza. Di certo il Sahel non è semplice vittima o passivo osservatore della nuova identità regionale quanto interessato attore fin dove e quanto esso è possibile. Persino l’Italia, nel suo piccolo, con la presenza diplomatica, militare e di cooperazione, cerca di ritagliare la propria giustificata presenza nel Sahel. La retorica del ‘controllo’ o quanto meno di una certa canalizzazione dei movimenti migratori rimane un miraggio. I Paesi confinanti il Niger, in effetti, persistono e radicalizzano le politiche di esclusione, deportazione o internamento dei migranti nel loro spazio nazionale. In tutto questo infernale gioco che porta alla sconfitta annunciata dei popoli, permane lo spazio esiguo; eppure, decisivo per ciò che da tempo la congiura del sistema ha espunto. Si tratta del ritorno all’ascolto del silenzio dei poveri che la sabbia, nella sua umiltà, ha nascosto ai potenti e ai saggi che organizzano le geopolitiche che torneranno alla sabbia da cui sono nate.




Momenti di catechesi infantile per riunione con adulti

              Mauro Armanino, Niamey, 14 aprile 2024

domenica 7 aprile 2024

IL FUTURO DEL PASSATO O IL PASSATO DEL FUTURO: A NOVE MESI DAL PUTSCH di P. MAURO ARMANINO

Il futuro del passato o il passato del futuro: a nove mesi dal putsch

Da fine luglio dell’anno scorso ad aprile di quest’anno sono passati nove mesi, il tempo di una gestazione. Arrivato relativamente inaspettato il putsch dei militari ha sorpreso soprattutto per la modalità utilizzata nella circostanza. Il sequestro del presidente in carica nella casa presidenziale ad opera della guardia che avrebbe dovuto proteggerlo da questo e altri tentativi di golpe. Il ritmo ciclico dei colpi di stato nel Niger evidenzia i bloccaggi nell’esercizio del patto democratico tra i partiti politici e la ‘leggerezza’ delle istituzioni che dovrebbero garantirlo. Tra queste non si può non citare i militari che fin dall’inizio della Repubblica hanno giocato un ruolo determinante nell’assetto democratico o meno del Paese. Nove mesi di sabbia per una gestazione, anch’essa, di sabbia. Quella che si adagia, compiaciuta, sulle strade quasi quotidianamente ripulite dagli addetti del comune e che torna, puntualmente, allo stesso posto il giorno seguente.

Anche la politica adottata nella transizione sembra, naturalmente, di sabbia. Sono gradualmente sparite le bandierine tricolori del Paese, portate in giro dai taxi e dai più numerosi e pericolosi tricicli. Anche le oceaniche dei primi giorni allo stadio e i presidi delle rotonde hanno gradualmente lasciato il posto alla testardaggine della vita quotidiana. La riapertura delle frontiere e la levata delle sanzioni ad opera della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, non ha riportato quel sollievo che la povera gente e gli imprenditori economici attendevano. La piroga e le estorsioni istituzionalizzate continuano ad essere il mezzo che unisce le due rive del fiume Niger alla frontiera col Benin. Cacciati i militari francesi e fattisi discreti i pochi civili rimasti, è stata la volta dei militari americani ad essere invitati ad andarsene. Rimangono, discreti e in attesa di futuri equilibri diplomatico-economici, i militari italiani sul posto.

L’Alleanza degli Stati del Sahel, AES in abbreviato, che comprende Il Mali, il Burkina Faso e il Niger, i Paesi più colpiti dal terrorismo, banditismo e affarismo, si vuole come una risposta politico-militare alla drammatica situazione di insicurezza delle popolazioni. Gli sfollati, in questa porzione del Sahel, si contano a milioni e le condizioni di vita di migliaia di contadini sono al limite della sopravvivenza. La carestia temuta e, purtroppo, da anni ‘istituzionalizzata’, tocca una porzione importante del popolo. Le scelte politiche legate all’assolutizzazione del concetto di ‘sovranità nazionale’ e ‘autarchia’ hanno comportato conseguenze e ‘ricadute’ sulla gente non sempre prese in debito conto. Il punto forse cruciale della transizione/gestazione di questi mesi si trova nella difficoltà a trovare il nucleo del progetto politico che anima il presente. Esso, per non tradire il principio ‘realtà’, dovrebbe mettere al centro il ‘bene comune’ e cioè la giustizia per i poveri. Onde evitare di riprodurre il passato nel futuro è stata inventata la politica e soprattutto la democrazia. 



               

Mauro Armanino, Niamey, aprile 2024


lunedì 1 aprile 2024

Bob Marley - Redemption song (Music video)

LA PASQUA, DI SABBIA, DI NIAMEY di Padre MAURO ARMANINO

    La Pasqua, di sabbia, di Niamey

Questa festa interessa le poche migliaia di cristiani che vivono in città e dei quali la maggior parte è originaria dei Paesi della costa atlantica che il commercio degli schiavi rese famosa e temuta. C’è in cambio il ‘lunedì di Pasqua’ che il calendario ufficiale delle festività riconosce, assieme al Natale, a livello nazionale. Sono le due festività accolte, almeno finora, nel calendario dello Stato. Si tratta di una Pasqua di sabbia, precaria e fragile come si conviene e in sintonia con la transizione che il Niger abita da fine luglio dell’anno scorso. E’ la conseguenza del colpo di stato che ha deposto e imprigionato nel palazzo presidenziale l’eletto in circostanze dubbiose Mohammed Bazoum. Anche la transizione del Paese è di sabbia. Azzardarsi a domandare la meta del viaggio significa esporsi ad un imbarazzante silenzio che la polvere copre di pudore. Il sentiero che il Niger e l’Alleanza degli Stati del Sahel (AES) percorrono è ancora poco frequentato.

Eppure, nel suo piccolo, la festa di Pasqua è latrice di un messaggio, difficile a decifrare nel contesto, di una liberazione possibile per tutti. Se Pasqua indica, nell’etimologia popolare, ‘passaggio’ allora l’avvenimento pasquale che la festa attualizza, indica almeno due liberazioni conseguenti. La prima ricorda il mito fondatore del popolo di Israele che, tramite un esodo durato anni, abbandona la terra della schiavitù del Faraone d’Egitto per rischiare l’indigenza e l’incertezza della libertà. Il cammino nel deserto, tra stenti, paure e tentazioni di un ritorno al passato che rassicura, diventa la metafora della transizione attuale del popolo nigerino. Come per il popolo di Israele la realtà degli idoli fabbricati continua a sedurre l’immaginario della gente e in particolare dei ‘capi’. Il potere, il prestigio e l’arroganza del dio denaro sono l’attuale vitello d’oro che il popolo si è fabbricato nel deserto. L’acqua della roccia è difficile a trovare.

C’è poi l’altra liberazione possibile, ancora più pericolosa per il disordine stabilito, che, in relazione con la Pasqua afferma che i sepolcri si sono svuotati e le tombe sono trasformate in giardini. Questa seconda promessa di liberazione è ancora più sovversiva della precedente perché, dopo il silenzio della notte e all’albeggiare, ci si accorge che l’anelito per un mondo nuovo non era vano. Ciò significa che la violenza, la menzogna del potere, il cinismo dei commercianti di parole e d’armi, i fabbricanti di illusioni e gli imprenditori del sistema di dominazione, sono finalmente inermi e spodestati. Le tombe dei cimiteri nelle quali i potenti volevano chiudere la storia umana, litania infinita di guerre e ribellioni al sistema, sono svuotate. Le pietre che le coprivano servono ormai per costruire il mondo assente che tanti cercavano a tastoni. Passare dalla schiavitù fisica e mentale, ricordava un certo Bob Marley, è proprio ciò che permetterà di cantare assieme agli amici resi liberi, il suo ‘Redemption Song’, il canto della libertà, di sabbia.

Mi aiuterai a cantare

Questi canti di libertà?

Perché tutto quel che ho sempre avuto

Sono i canti di redenzione,

Tutto quel che ho sempre avuto

Sono i canti di redenzione

Questi canti di libertà,

Canti di libertà



Confessioni infanti


Visita alle prigioni 


Venerdì Santo


Venerdì Santo 2024

Mauro Armanino, Niamey, Pasqua 2024

BENVENUTO|

Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi