Il Paradiso non può attendere
Blog di riflessioni con uno sguardo alla spiritualità carmelitana
domenica 6 luglio 2025
sabato 5 luglio 2025
MITOLOGIE SAHELIANE MA NON SOLO di PADRE MAURO ARMANINO
Mitologie saheliane ma non solo
Viviamo di miti e cioè di racconti o narrazioni che offrono credibili spiegazioni della realtà che ci circonda. Sono caratterizzati da eroi, dei o personaggi fantastici che influiscono sull’interpretazione del mondo e dettano scelte, comportamenti e visioni credibili della realtà. Ogni epoca e cultura, anche quelle ritenute ‘scientifiche’ o ‘tecnologicamente avanzate’, ha i suoli miti, evidenti o impliciti, riconosciuti o mascherati da apparente razionalità. Nella vita reale sono i miti accettati o subiti che orientano buona parte delle azioni che compiamo. I miti sono anche ciò che possono manipolare la realtà onde renderla funzionale al tipo di mondo e dunque di potere che ogni narrazione perpetua.
In Africa uno dei miti che va per la maggiore è quello della durata ‘divinamente voluta’ dei mandati presidenziali. La componente mitica del potere, pensato come espressione di un’elezione dai contorni divini, fa supporre che il capo non cerchi che il bene e la difesa del popolo. Non casualmente si allungano o trasformano la durata dei mandati che le costituzioni opportunamente avevano regolato per evitare abusi di potere. Quindi si cambia la costituzione o si inventano sistemi per aggirarne i limiti fino, se necessario, al colpo di stato istituzionale o a quello che passa attraverso le armi. Quest’ultimo mezzo apre la via al secondo e altrettanto allettante mito: quello della violenza e dunque delle armi che aiutano a tradurla in pratica come mezzo di trasformazione o di conquista del potere. Dietro questo mito si trova quello dei sacrifici umani che, soli, garantirebbero le fondamenta dello stato, della nazione e la sua identità. I cimiteri, le fosse comuni, i monumenti e le feste nazionali sono solo alcune delle espressioni di questo mito fondatore della storia. La facilità con cui si fabbricano, commerciano, usano e prosperano gli armamenti non è casuale. Il mito della potenza, nato con lo stato e da esso nutrito, non ha memoria. Il mese prossimo si ricorda che si realizzò la prima esplosione atomica a Hiroshima. Questa tragedia è volutamente dimenticata.
Mi permetto di inserire un testo col quale avevo partecipato ad un concorso indetto dalle Edizioni Pragmata di qualche anno fa, che richiedeva 100 parole per una foto / 100 palabras por una foto, ovvero si trattava di un Drabble, e che avevo titolato FUNGO MALEFICO:
Da anni desideravo rivedere la spiaggia di Marebello. Calma piatta, mentre i miei piedi, gonfi di atavica stanchezza, si lasciano accarezzare dalle languide onde del mare, che s’infrangono sulla battigia.
Arriva da lontano un vortice rabbioso, un ululare sordo, minaccioso, s’avvicina. Quella sua forma a fungo ricorda lo spaventoso evento del 1945 quando, il mattino del 6 agosto, alle ore 8,16, L’Aeronautica Militare Statunitense sganciò la bomba atomica “Little Boy” sulla città giapponese di Hiroshima, seguita, tre giorni dopo, dal lancio dell’ordigno "Fat Man” su Nagasaki. Quanto dolore hanno provocato un ragazzino e un ciccione!La natura ricorda ancora, ribellandosi.
Danila Oppio
Questo racconto è pubblicato in una raccolta che si trova qui:
I regimi militari, che sembrano accompagnare la vita politica di una parte consistente dei Paesi del Sahel, sono anch’essi visti come ‘mitica’ soluzione alla corruzione del sistema politico organizzato attorno ai partiti e alle costituzioni. Sarà l’uniforme, le armi tenute in riserva, l’apparente o reale disciplina che sembrano incarnare, i militari come via di salvezza per il popolo si afferma come un altro mito che riesce ad aggregare ideali, giovani e aspirazioni sopite. La disciplina e l’uomo forte, dallo statuto simile a quello dello sceriffo gemellato con l’idea del re tradizionale, offrono ai militari una riserva quasi inesauribile di fiducia del popolo. I miti sono spesso e volentieri militarizzati e armati.
Infine, è la nazione, intesa come popolo che si identifica dentro uno spazio geografico e culturale prescelto per l’eternità, uno dei grandi miti creati della modernità. I confini, le bandiere, l’esercito, la cultura e la religione formano, così si pensa, un tutto omogeneo e coerente, frutto di una mitica discendenza fatti di eroi, navigatori e santi. Le competizioni sportive con l’inno nazionale, cantato con la mano sul cuore dagli atleti, rappresenta quanto di più emozionante ci sia nella vita. La nazione mitizzata si afferma come unico ambito identitario, e garanzia per usufruire dei diritti inerenti al cittadino. Alle frontiere si fa esperienza, spesso drammatica, di questo mito nazionale.
Al confine, infatti, i ponti spesso diventano muri, reticolati, zone di non-diritto o di commercio transfrontaliero. I fiumi, i mari e i deserti si trasformano troppe volte in cimiteri non custoditi. Il mito che ne assicura il supporto simbolico sembra godere di un futuro assicurato. Ecco perché smitizzare l’immaginario ereditato e fare dei poveri e oppressi la propria ‘patria’ è l’unico sentiero da seguire.
giovedì 3 luglio 2025
sabato 28 giugno 2025
LA GUERRA DI CUI NON SI PARLA di PADRE MAURO ARMANINO
Donne venditrici di sabbia
La guerra di cui non si parla
Miete più vittime delle altre registrate nel mondo. L’anno scorso i conflitti armati riconosciuti tali erano 61. Quest’unica guerra uccide più che tutte i conflitti messe assieme. Si tratta della povertà o, se vogliamo, della miseria che porta con sè, troppo spesso nel silenzio, milioni di persone. Un pò come le cosiddette ‘morti bianche’ cioè quelle sul lavoro. Un’altra vera e propria battaglia quotidiana che vede come protagonista chi non è certo di tornare a casa dopo esserne uscito per lavoro, il mattino. Si calcola che l’anno scorso le ‘morti bianche’ hanno raggiunto i tre milioni.
La povertà è peggio perché per gli economisti si perde nelle statistiche mentre per la gente è una sparizione continua che passa inosservata. Ad essere cancellati sono i poveri. Le tracce della miseria durano a lungo perché coinvolgono i bambini, le donne e i giovani. La miseria è il frutto più immediato di guerre, movimenti forzati di popolazione, avversità climatiche ma soprattutto di classi politiche ammalate di potere e spogliamento del popolo nel più breve tempo possibile. Cause esterne, interne e purtroppo ‘eterne’ si perpetuano perché abbiamo smarrito la vergogna.
Sembra davvero scomparsa, la vergogna, dal lessico e soprattutto dal volto, le parole e le azioni. Si tratta di un sentimento, innato e allo stesso tempo culturale, che manifesta l’inadeguatezza tra ciò che è giusto e il nostro agire e sentire. La crescita, tutta occidentale, dell’individualismo e del fin troppo citato relativismo, non possono che produrre l’esilio della vergogna. Gli atti, le scelte, le parole e financo l’abbigliamento non tengono più in conto lo sguardo dell’altro. Il ‘principio responsabilità’ è stato spazzato via dall’utilitarismo capitalista che tutto mercifica e traduce, senza vergogna, in denaro.
Investire somme abissali, destinate a servizi sociali, in armi, ordigni letali studiati e programmati allo scopo di uccidere il ‘nemico’ fa ormai solo vergognare i pochi irriducibili ‘idealisti’. Nel frattempo, nel Sahel imperversa la vulnerabilità alimentare per milioni di persone, l’indigenza al quotidiano, la carenza di strutture educative e sanitarie. Mancano dispositivi che facilitino l’ingresso dei giovani nel mondo lavorativo. Irréductibles. La classe politica non si vergogna di nulla e così gli intellettuali attirati dalla retorica che sembra promettere loro un futuro. Persino i leader religiosi, senza vergogna, puntellano il sistema fatiscente.
Il Fondo Monetario Internazionale, che non è un ente di beneficenza, ha rilasciato un documento che, prendendo in considerazione il Prodotto Interno Lordo dei Paesi, stila la lista dei dieci Paesi col reddito pro capite più basso in Africa. Con tutti i limiti che questa operazione sappiamo comporta, rimane utile affacciarsi su questa strana e drammatica classifica che nasconde ciò che mostra ed evidenzia ciò che nasconde. Ci sono numeri che offuscano le cause e facilitano l’azione di sminamento del sentimento di vergogna che dovrebbe toccare i politici per primi.
Finché la vergogna non ritornerà ad essere una materia di insegnamento nella grammatica della vita quotidiana, sarà difficile cambiare lo sguardo sul mondo.
Mauro Armanino, Niger, giugno 2025
giovedì 26 giugno 2025
BEATA SR. M. GIUSEPPINA DI G. CROCIFISSO - Liriche di PADRE NICOLA GALENO OCD
BEATA MARIA GIUSEPPINA DI GESÙ CROCIFISSO
(GIUSEPPINA CATANEA)
1894 - 1948
Memoria facoltativa, 26 giugno
Nacque a Napoli il 18 febbraio 1896 e in famiglia fu sempre chiamata Pinella. Dopo aver compiuto gli studi commerciali, il 10 marzo 1918 entrò nella Comunità carmelitana di S. Maria ai Ponti Rossi, che era sorta per volontà della sorella Antonietta, divenuta - nel Terz’Ordine Carmelitano - suor Maria Teresa, con l’appoggio del padre carmelitano Romualdo di S. Antonio.
Non era il ritratto della salute, piuttosto fragile e malaticcia, nel 1912 fu colpita da attacchi d’angina, poi da tubercolosi alla spina dorsale con lesioni alle vertebre, paresi completa e da meningismo spinale. Ma dieci anni dopo a 28 anni, il 26 giugno 1922 ne fu miracolosamente guarita in modo istantaneo, dopo il contatto col braccio di San Francesco Saverio, che era stato portato a Napoli.
Fu l’inizio di un apostolato, che la “monaca santa”, com’era chiamata, portò avanti per tutta la vita, accogliendo al monastero ogni tipo di ammalati e bisognosi di grazie, sia materiali che spirituali, cui dava il suo conforto e consiglio, per trovare l’amore di Dio, spesso operando prodigi. La sua abnegazione continuò ininterrottamente, specie nei giorni festivi, anche quando altre malattie la colpiranno ed a 50 anni nel 1944 con la vista indebolita, fu inchiodata alla sedia a rotelle; dava di sé l’immagine di una crocifissa con Gesù, per la Chiesa ed i fratelli, così come il suo nome di religiosa era tutta una predestinazione.
Volle essere vittima per le sofferenze dell’umanità, ripiena di una sensibilità nuova donatale dallo Spirito Santo; nel 1932 la Santa Sede riconobbe come monastero del Secondo Ordine dei Carmelitani Scalzi, la Casa dei Ponti Rossi di Napoli e Giuseppina Catanea ricevé l’abito di Santa Teresa in forma ufficiale, con il nuovo nome di Maria Giuseppina di Gesù Crocifisso, e il 6 agosto dello stesso anno professava solennemente secondo la Regola, che già seguiva dal 1918.
Dal 1934 il cardinale Alessio Ascalesi, arcivescovo di Napoli, la nominò sottopriora, poi nel 1945 vicaria e il 29 settembre 1945, nel Primo Capitolo Elettivo, venne eletta Priora della Comunità, incarico che tenne fino alla morte. La sua spiritualità, la docilità amorosa, l’umiltà e semplicità, ebbero grande applicazione durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale; pregava in continuazione, ciò alimentava quella confidenza in Dio, di cui contagiava quanti si recavano in pellegrinaggio fino ai Ponti Rossi, per ascoltare un suo incoraggiamento per riprendere a sperare nella vita, superando le prove ed i dolori. Il giorno della sua vestizione aveva detto: «Mi sono offerta a Gesù Crocifisso per essere crocifissa con Lui».
Il Signore l’aveva presa in parola, rendendola partecipe del Suo patire, che cercò di vivere silenziosamente e gioiosamente, amalgamandosi al Cuore di Maria Vergine; la sua esistenza, da una certa epoca, fu ripiena di carismi mistici straordinari, sopportò per lunghi anni dure prove e persecuzioni nell’abbandono alla volontà di Dio. Per ubbidienza e per consiglio del padre Romualdo, scrisse l’Autobiografia (1894-1932) e il Diario (1925-45), oltre alle lettere ed esortazioni per le religiose.
Dal 1943 cominciò a soffrire di labirintite auricolare, parestesie varie, dolorosa sclerosi a placche, perdita progressiva della vista e altri disturbi; convinta che la sua era la "malattia della volontà di Dio", la riteneva "un dono magnifico" che la univa maggiormente a Gesù sulla croce; e sorridendo offriva il suo corpo, in sfacelo per la cancrena diffusa, quale altare del suo sacrificio per le anime.
Madre Maria Giuseppina morì il 14 marzo 1948 con il cuore rivolto a Dio ed alle anime; il suo corpo disfatto si conservò pienamente incorrotto fino al 27 marzo, data della sepoltura, per dare possibilità alle folle che in continuazione, venivano a dare l’ultimo saluto alla “monaca santa”.
Nel dicembre 1948 (lo stesso anno della morte) il cardinale Ascalesi, diede avvio al Processo Ordinario per la causa di beatificazione. Il 3 gennaio 1987 si ebbe il decreto sulle virtù ed il titolo di venerabile. È stata beatificata nella Cattedrale di Napoli dal Cardinale Crescenzio Sepe il 1 giugno 2008. La sua memoria liturgica è celebrata il 26 giugno.
(fonte: http://www.postocd.org/it/biografia-maria-giuseppina-di-gesu-crocifisso)
Dagli «Scritti» della beata Maria Giuseppina di Gesù Crocifisso (Autobiografia, pp. 159; 296; 202 bis; Diari, pp. 2-3; 109; 121; 126):
Mi sono offerta a Gesù Crocifisso per essere crocifissa con Lui. La volontà di Dio è stata sempre la brama ardente del mio cuore: mai null’altro ho desiderato. Io ho vissuto e vivo di questa volontà divina. Essa mi è necessaria più del pane che mi nutre e dell’aria che respiro. Non saprei farne a meno neppure per un istante! Ho voluto sempre vivere e morire conforme al volere di Dio; ho voluto che la volontà di Dio fosse sempre nei miei pensieri, nelle mie parole, in ogni mia azione, in ogni mio passo. Solo la volontà di Dio ha saputo tramutare i miei dolori in gioia e rendere un Tabor il Calvario della mia vita.
La volontà di Dio è un bacio del suo amore. La volontà di Dio è un abbraccio della sua bontà, che toglie l’anima dalle proprie miserie, per sollevarla in alto nelle sue mani. La volontà di Dio è un atto di tenerezza che deve fare abbandonare l’anima all’amore. O volontà di Dio, amore infinito, trasporta la mia volontà nella fiamma del tuo amore. Io voglio unirmi a te, mio Dio e mio tutto. Voglio fare tutto quello che a te piace. Voglio che la mia vita sia una continua adorazione, un continuo inno di amore a te, o Dio Uno e Trino. Se anche fossi un serafino di amore, sarei degna del Signore? Se mi consumassi di sacrifici e di pene per Dio, e la mia vita fosse un olocausto, che cosa avrei fatto per te, mio Dio e mio tutto? Voglio amare Iddio con gli ardori stessi del suo divino Spirito, con l’ardente unzione del suo Amore, amarlo fino a non vivere che per lui solo e non fare più che una cosa sola con lui: una la volontà, uno il desiderio, uno lo spirito. Pensiamo che la nostra piccola voce un giorno sarà voce di gigante, perché voce di gloria per i mezzi che Dio ci dà sulla terra: i dolori, le sofferenze, le preghiere e i sacrifici che incontreremo nella vita. Inabissiamoci in Dio, fondiamoci, annulliamoci in lui solo, e cerchiamo di vivere esultando all’invito: «Veni Sponsa Christi».
La sofferenza è un dolce e caro bacio del Crocifisso. Nulla desidero fuorché la croce che è luce e amore.Signore, tu mi dicesti che avrei patito ogni giorno sempre di più, che mi avresti stesa sulla croce e lì mi avresti dato il bacio dell’eterna unione, e io sospiro questo momento, sospiro questo incontro felice che pur mi costa l’agonia di tutta la vita. La nostra santa Madre Teresa di Gesù vuole che noi siamo le crocifisse alla Croce di Gesù: è questo il programma della nostra vita. Quando penso che Gesù mi ha messo con lui sulla Croce, sento in me una maternità spirituale, una tenerezza perle anime, una gioia grande, profonda che non so dire. Quante tribolazioni sulla terra, quanti lamenti, quanti sospiri, quante lacrime. Io qui, lontana da tutti, divido le pene di ogni cuore; presento a Dio tutti i sospiri, tutte le lacrime che irrigano questa terra d’esilio. Vivo con l’umanità sofferente...Quanta consolazione oggi ho sentito nel mio povero cuore. Queste parole nella santa Comunione mi hanno sollevato:«Figlia, sarai tutta mia e sempre più mia». È proprio ciò che brama ardentemente l’anima mia. O carità grande del mio Signore! O bontà ineffabile! O Gesù Amore, io ti ringrazio e ti amo. In tutti gli atomi di polvere vorrei scrivere col mio sangue: TI amo, Gesù, salva le anime.