AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

lunedì 14 ottobre 2024

DOVE ABITA LA FELICITA' - BELLA LA STORIA DEI DUE SASSOLINI BLU!

Due sassolini, grossi si e no come una castagna, giacevano sul greto di un torrente. Stavano in mezzo a migliaia di altri sassi, grossi e piccoli, eppure si distinguevano da tutti gli altri. Perché erano di un intenso colore azzurro. Quando un raggio di sole li accarezzava, brillavano come due frammenti di cielo caduti nell’acqua.                

          Loro due sapevano benissimo di essere i più bei sassi del torrente e se ne vantavano dal mattino alla sera. Guardavano con commiserazione gli altri sassi che erano grigi, bianchi, striati, rossicci, chiazzati. "Noi siamo i figli del cielo!", strillavano, quando qualche sasso plebeo si avvicinava troppo. "State a debita distanza! Noi abbiamo il sangue blu. Non abbiamo niente a che fare con voi!". 

          Erano insomma due sassi boriosi e insopportabili. Passavano le giornate a pensare che cosa sarebbero diventati, non appena qualcuno li avesse scoperti. "Finiremo certamente incastonati in qualche collana insieme ad altre pietre preziose come noi". "Sul dito bianco e sottile di qualche gran dama". "Sulla corona della regina d’Olanda". "Sulla spilla della cravatta del Principe di Galles". "Ci aspetta una gran vita...". "Alberghi di lusso, crociere, balli, feste, ricevimenti... "Andremo fino a Caponord...".

           Un bel mattino, mentre i raggi del sole giocavano con le trine di spuma dei sassi più grandi, una mano d’uomo entrò nell’acqua e raccolse i due sassolini azzurri. "Evviva!", gridarono i due all’unisono. "Si parte!". Finirono in una scatola di cartone insieme ad altri sassi colorati. "Ci rimarremo ben poco!" dissero, sicuri della loro indiscussa bellezza. La cosa durò più del previsto. I due sassolini furono sballottati di qua e di là, cambiarono spesso scatola, furono spesso soppesati e palpati da mani ruvide.

          Rimasero ultimi nella scatola. Poi una mano li prese e li schiacciò di malagrazia contro il muro in mezzo ad altri sassolini, in un letto di cemento tremendamente appiccicoso. "Ehi! Fai piano! Siamo preziosi, noi!", gridavano i sassolini azzurri. Ma due sonore martellate li fecero affondare ancora di più, dentro ii cemento. Piansero, supplicarono, minacciarono. Non ci fu niente da fare. I due sassolini azzurri si ritrovarono inchiodati al muro. L’amarezza e la delusione li riempivano di riflessi viola.        

        "Razza di imbecilli, asini e incompetenti! Non hanno capito la nostra importanza! ". Il tempo ricominciò a scorrere, lentamente. I due sassolini azzurri erano sempre più arrabbiati e non pensavano che ad una cosa: fuggire. Ma non era facile eludere la morsa del cemento, che era inflessibile e incorruttibile. I due sassolini non si persero di coraggio. Fecero amicizia con un filo d’acqua, che scorreva ogni tanto su di loro.             

        Quando furono sicuri della lealtà dell’acqua, le chiesero il favore che stava loro tanto a cuore. "Infiltrati sotto di noi, per piacere. E staccaci da questo maledetto muro!" L’acqua non se lo fece ripetere due volte. Era la sua passione infiltrarsi nei muri e si divertiva molto ad allargare crepe e sbriciolare cemento. Fece del suo meglio e dopo qualche mese i sassolini già ballavano un po’ nella loro nicchia di cemento. Finalmente, una notte umida e fredda, Tac! Tac!: i due sassolini caddero per terra. "Siamo liberi!".           

        E mentre erano sul pavimento lanciarono un’occhiata verso quella che era stata la loro prigione. "Oooooh!" La luce della luna che entrava da una grande finestra illuminava uno splendido mosaico. Migliaia di sassolini colorati e dorati formavano la figura di Nostro Signore. Era il più bel Gesù che i due sassolini avessero mai visto.

          Ma il volto... il dolce volto del Signore, in effetti, aveva qualcosa di strano. Sembrava quello di un cieco. Ai suoi occhi mancavano le pupille! "Oh, no!". I due sassolini azzurri compresero. Loro erano le pupille di Gesù!

          Chissà come stavano bene, come brillavano, come erano ammirati, lassù. Rimpiansero amaramente la loro decisione. Quanto erano stati insensati! Al mattino, un sacrestano distratto inciampò nei due sassolini e, poiché nell’ombra e nella polvere tutti i sassi sono uguali, li raccolse e, brontolando, li buttò nel bidone della spazzatura.

 I due sassolini azzurri falliscono perché non sanno vedere. Nella loro presunzione si illudono sulle proprie qualità e su ciò che può renderli veramente felici. Per questo motivo scoprono troppo tardi la bellezza e la ricchezza della missione a cui erano stati chiamati.


"Ho imparato ad amare la vita solo da quando so per quale fine vivo"

S.Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein)

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».

                                        (Vangelo secondo Giovanni 14.1-12) 

ELOQUENZA DEL SILENZIO di IVAN ILLICH - testo inviatomi da Padre MAURO ARMANINO

            Eloquenza del silenzio

                                                               di Ivan Illich

Biografia: Ivan Illich (Vienna, 4 settembre 1926 – Brema, 2 dicembre 2002) è stato uno scrittore, storico, pedagogista e filosofo austriaco.

Personaggio di vasta cultura, viene citato spesso come teologo (definizione da lui stesso rigettata), poliglotta e storico. Viene però più spesso ricordato come libero pensatore, capace di uscire da qualsiasi schema preconcetto e di anticipare riflessioni affini a quelle altermondiste. Estraneo a qualsiasi inquadramento precostituito, la sua visione è strettamente affine all'anarchismo cristiano. Vice rettore dell'Università di Porto Rico e fondatore in Messico del Centro Intercultural de Documentación (CIDOC), ha focalizzato gran parte della sua attività in America Latina.

Illich nacque a Vienna da Ivan Peter Illich, croato, e da Ellen Rose Regnstreif-Orfortiebi, ebrea sefardita. Sin da bambino si dimostrò estremamente versatile: conosceva l'italiano, il francese e il tedesco come un madrelingua e imparò in seguito il croato, il greco antico e in aggiunta lo spagnolo, il portoghese, lo hindi e altri idiomi. Nel 1941 con la madre e i fratelli andò a vivere a Firenze, completò le scuole secondarie al liceo scientifico Leonardo Da Vinci e iniziò l'università. Nel 1944 si iscrisse alla Pontificia Università Gregoriana di Roma con il progetto di diventare prete, e nel 1951 fu ordinato presbitero.

Prestò servizio come assistente parrocchiale a New York, nella diocesi retta dal cardinal Francis Joseph Spellman. Nel 1956 fu nominato vice-rettore della Pontificia Università Cattolica di Porto Rico, e nel 1961 fondò il Centro Intercultural de Documentación (CIDOC) a Cuernavaca, in Messico, che aveva il compito di preparare i preti e i volontari dell'Alleanza per il Progresso alle missioni nel continente americano.[2]

Dopo dieci anni l'attività di analisi critica del CIDOC, l'elaborazione del manifesto dei descolarizzatori e la pubblicazione dei primi cinque testi fortemente critici con le istituzioni moderne, si acuisce il conflitto con il Vaticano. In seguito a contrasti con i membri della Sacra Congregazione Pro Doctrina Fidei Illich subisce un interrogatorio durante il quale gli vengono fatte domande sulle attività condotte nei suoi centri di documentazione e sulle sue posizioni politiche e religiose. Successivamente gli viene chiesto di rispondere per iscritto alle domande, ma Illich si appella alla facoltà di non rispondere. Il suo processo non viene mai portato a termine, Illich decide di astenersi dal celebrare la messa pur mantenendo il celibato. Di fatto non viene mai scomunicato, restando un "monsignore atipico".

Nel 1976 Illich, apparentemente preoccupato per l'afflusso di accademici formali e per la crescente istituzionalizzazione del CIDOC nonché per le pregresse conflittualità, decise, con il consenso degli altri membri, di chiuderlo. Molti dei soci hanno poi proseguito la loro attività di scolarizzazione linguistica a Cuernavaca.

Nel 1977 insegnò alla Facoltà di Sociologia dell'Università di Trento dove tenne lezioni e organizzò seminari, diventando presto un riferimento per il movimento studentesco.

Dal 1980 Ivan Illich iniziò una lunga serie di viaggi, dividendo il proprio tempo tra gli Stati Uniti, il Messico e la Germania. Fu inoltre nominato Visiting Professor di Filosofia, Scienza, Tecnologia e Società presso la Penn State e insegnò anche all'Università di Brema.

Negli ultimi anni fu colpito da una crescita tumorale sul volto che, in conformità con la sua critica alla medicina ufficiale, tentò, senza successo, di curare con metodi tradizionali. Fumava regolarmente oppio per lenire il dolore. All'inizio della malattia, consultò un medico per valutare la possibilità di rimuovere il tumore, ma gli fu detto che con grande probabilità avrebbe perso la facoltà di parlare e così convisse come meglio poté con la malattia, da lui definita "la mia mortalità".

Il suo essenziale interesse fu rivolto all'analisi critica delle forme istituzionali in cui si esprime la società contemporanea, nei più diversi settori (dalla scuola all'economia e alla medicina), ispirandosi a criteri di umanizzazione e convivialità, derivati anche dalla fede cristiana, così da poter essere riconosciuto come uno dei maggiori sociologi dei nostri tempi.Le persone comunicano assai più profondamente con i silenzi che con le parole. Le parole e le frasi sono, infatti, composte anche da silenzi che hanno ancora più significato dei suoni stessi. Queste pause pregnanti che esistono tra i suoni e le espressioni diventano punti luminosi in un immenso vuoto. Il linguaggio è una corda di silenzio con alcuni nodi che sono i suoni...Confucio paragonava il linguaggio ad una ruota: sono i raggi che la uniscono al centro, ma sono gli spazi vuoti che fanno la ruota.

Per questo, se vogliamo capire un uomo, dobbiamo imparare a conoscere piuttosto i suoi silenzi che le sue parole, e, da parte nostra, non è tanto attraverso i suoni, che riusciamo a pronunciare, che trasmettiamo il significato, quanto piuttosto è attraverso le pause, che possiamo farci capire. Lo studio di una lingua si basa sull'apprendimento più dei suoi silenzi che delle sue parole. Soltanto i cristiani credono in una Parola che è, contemporaneamente, Silenzio. 

Imparare una lingua in modo umano e maturo, quindi, significa accettare la responsabilità dei silenzi e dei suoni di questa lingua. Il dono che un popolo ci fa quando ci insegna la sua lingua è più prezioso per il ritmo, il tono, le sottigliezze del suo sistema di silenzi, che per l'accordo dei suoni. E' un dono intimo e personale, per il quale dobbiamo essere riconoscenti a questo popolo che ci ha affidato la ricchezza della sua lingua. Una lingua di cui si conosca soltanto le parole e non le pause di silenzio è una continua offesa per chi l'ascolta, è una caricatura, come il negativo di una fotografia. 

Ci vuole più tempo, uno sforzo maggiore, una delicatezza più grande ad imparare il silenzio di un popolo che non le sue parole. Qualcuno ha un'attitudine particolare per questo, altri no. Questo forse spiega perché certi missionari, nonostante i loro sforzi, non giungono mai a parlare come si deve, a comunicare con delicatezza anche attraverso i silenzi. Anche se arrivano a parlare' con l'accento degli indigeni' rimangono sempre a mille miglia lontano. L'arte di imparare la grammatica del silenzio è assai più difficile di quella della grammatica dei suoni. Se le parole possono essere apprese col semplice ascolto, seguito da penosi sforzi di imitazione della parlata locale, i silenzi, invece, devono essere acquisiti con l'apertura del cuore. Proprio come per le parole vi è un'analogia tra il nostro silenzio con gli uomini e il nostro silenzio con Dio. Per imparare il pieno significato del primo, dobbiamo praticare ed approfondire il secondo.

Anche questo silenzio è minacciato, non solo dalla fretta e dalla profanazione della delicata molteplicità degli atti racchiusi in una parola, ma soprattutto dalla nostra abitudine ai discorsi verbosi ed alla fabbricazione in serie delle parole con criteri di produzione di massa che non possono perdersi dietro la delicatezza del linguaggio. La testimonianza silenziosa del missionario è, in ultima analisi, un dono, un dono di preghiera, appreso, cioè, nella preghiera da qualcuno che è infinitamente distante e infinitamente straniero, e sperimentato nell'amore per gli uomini che sono sempre più distanti e stranieri di quelli che conosce in patria. Ora, può avvenire che il missionario dimentichi che il suo silenzio è un dono nel suo significato più profondo, cioè qualcosa di dato gratuitamente, un dono concretamente fatto a noi da coloro che vogliono insegnarci la loro lingua. Colui che tenta di acquistare una lingua come si acquista un vestito, di conquistarla impadronendosi della grammatica, è qualcuno che in sostanza tenta di violentare la cultura nella quale è stato inviato. Fino a che si considera un missionario, dovrà riconoscere di essere frustrato, di essere stato, sì, mandato da qualcuno, ma di non essere arrivato da nessuna parte; ha lasciato la sua patria, ma non ha trovato nessun'altra terra, ha lasciato la sua casa, ma non ne ha più trovata un'altra. Continua a predicare ed è sempre più consapevole di non essere capito. Le sue parole sono la parodia di una lingua.

                     (Illich, I., Rivoluzionare le istituzioni, Mimesis)                                                                                                                                                               Mauro Armanino,Niamey

Ora, dopo una breve biografia ripresa da Internet, perché volevo conoscere questo personaggio a me sconosciuto, prima che mi inviasse il  ì testo Padre Armanino, posso riportarlo qui, così capiamo parte del loro immenso pensiero:

Eloquenza del silenzio
    di Ivan Illich

Le persone comunicano assai più profondamente con i silenzi che con le parole. Le parole e le frasi sono, infatti, composte anche da silenzi che hanno ancora più significato dei suoni stessi. Queste pause pregnanti che esistono tra i suoni e le espressioni diventano punti luminosi in un immenso vuoto. Il linguaggio è una corda di silenzio con alcuni nodi che sono i suoni...Confucio paragonava il linguaggio ad una ruota: sono i raggi che la uniscono al centro, ma sono gli spazi vuoti che fanno la ruota.

Per questo, se vogliamo capire un uomo, dobbiamo imparare a conoscere piuttosto i suoi silenzi che le sue parole, e, da parte nostra, non è tanto attraverso i suoni, che riusciamo a pronunciare, che trasmettiamo il significato, quanto piuttosto è attraverso le pause, che possiamo farci capire. Lo studio di una lingua si basa sull'apprendimento più dei suoi silenzi che delle sue parole. Soltanto i cristiani credono in una Parola che è, contemporaneamente, Silenzio. 

Imparare una lingua in modo umano e maturo, quindi, significa accettare la responsabilità dei silenzi e dei suoni di questa lingua. Il dono che un popolo ci fa quando ci insegna la sua lingua è più prezioso per il ritmo, il tono, le sottigliezze del suo sistema di silenzi, che per l'accordo dei suoni. E' un dono intimo e personale, per il quale dobbiamo essere riconoscenti a questo popolo che ci ha affidato la ricchezza della sua lingua. Una lingua di cui si conosca soltanto le parole e non le pause di silenzio è una continua offesa per chi l'ascolta, è una caricatura, come il negativo di una fotografia. 

Ci vuole più tempo, uno sforzo maggiore, una delicatezza più grande ad imparare il silenzio di un popolo che non le sue parole. Qualcuno ha un'attitudine particolare per questo, altri no. Questo forse spiega perché certi missionari, nonostante i loro sforzi, non giungono mai a parlare come si deve, a comunicare con delicatezza anche attraverso i silenzi. Anche se arrivano a parlare' con l'accento degli indigeni' rimangono sempre a mille miglia lontano. L'arte di imparare la grammatica del silenzio è assai più difficile di quella della grammatica dei suoni. Se le parole possono essere apprese col semplice ascolto, seguito da penosi sforzi di imitazione della parlata locale, i silenzi, invece, devono essere acquisiti con l'apertura del cuore. Proprio come per le parole vi è un'analogia tra il nostro silenzio con gli uomini e il nostro silenzio con Dio. Per imparare il pieno significato del primo, dobbiamo praticare ed approfondire il secondo.

Anche questo silenzio è minacciato, non solo dalla fretta e dalla profanazione della delicata molteplicità degli atti racchiusi in una parola, ma soprattutto dalla nostra abitudine ai discorsi verbosi ed alla fabbricazione in serie delle parole con criteri di produzione di massa che non possono perdersi dietro la delicatezza del linguaggio. La testimonianza silenziosa del missionario è, in ultima analisi, un dono, un dono di preghiera, appreso, cioè, nella preghiera da qualcuno che è infinitamente distante e infinitamente straniero, e sperimentato nell'amore per gli uomini che sono sempre più distanti e stranieri di quelli che conosce in patria. Ora, può avvenire che il missionario dimentichi che il suo silenzio è un dono nel suo significato più profondo, cioè qualcosa di dato gratuitamente, un dono concretamente fatto a noi da coloro che vogliono insegnarci la loro lingua. Colui che tenta di acquistare una lingua come si acquista un vestito, di conquistarla impadronendosi della grammatica, è qualcuno che in sostanza tenta di violentare la cultura nella quale è stato inviato. Fino a che si considera un missionario, dovrà riconoscere di essere frustrato, di essere stato, sì, mandato da qualcuno, ma di non essere arrivato da nessuna parte; ha lasciato la sua patria, ma non ha trovato nessun'altra terra, ha lasciato la sua casa, ma non ne ha più trovata un'altra. Continua a predicare ed è sempre più consapevole di non essere capito. Le sue parole sono la parodia di una lingua.
                     (Illich, I., Rivoluzionare le istituzioni, Mimesis)                                                                                                                         
                                        Mauro Armanino, Niamey

CHI E' IL CAPITANO MARCOS DELL'EZLN (informazioni ricevute da Padre Armanino)

Marcos ha spiegato in cosa consiste il tema La Tempesta e il Giorno Dopo, che sarà discusso negli Incontri Internazionali di Ribellione e Resistenza 2024-2025. Foto/archivio per camera oscura

11 ottobre 2024 23:59
Dopo aver chiesto fino a che punto o in che misura le tecnologie della modernità controllano già, o no, la creazione artistica e la ricerca scientifica?, il Capitano Marcos dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), ha affermato che “il sistema ha convinto al ' maggioranze" che senza di esso, senza capitalismo, l'umanità è impossibile."
In una dichiarazione rilasciata questo venerdì, si è anche chiesto: “Le arti e le scienze dipendono dalle tecnologie della modernità? Cioè se non ci sono internet, applicazioni, cellulari, tablet e computer, intelligenza artificiale, energia da combustibili fossili, ecc. È possibile l'arte drammatica? Il dipinto? La musica? Il ballo? La scultura? Letteratura? Il cinema? Le scienze?»
Le arti, ha aggiunto, «non sono nate con il sistema che ormai strangola l'intera umanità, ma forse è già un 'cambio di paradigma' (un alibi per eccellenza per la resa)».
Ha sottolineato che “non si tratta di reindirizzare, con l’esplosione di un ordigno nucleare, un asteroide affinché si schianti e distrugga il telescopio Hubble: né di incendiare o saccheggiare centri di ricerca scientifica (la criminalità organizzata e i governi si stanno già preoccupando di quello). e quelli che saltano dalla scienza alla politica). 
In quel caso, ha affermato, “sono sicuro che l’intera comunità scientifica si unirebbe se qualcuno tentasse anche solo di chiudere la struttura di ricerca; minacciare i suoi membri; sporgere denunce penali contro di loro; o agganciare la ricerca scientifica a un progetto politico di parte, giusto? (ah, il mio sarcasmo non è sottile?)
E aggiunge: “Mi riferisco, però, a una situazione estrema, dove queste risorse sono impossibili da ottenere, o ci sono molte difficoltà per accedervi. Cosa accadrà alle scienze e alle arti, nonché alle persone che in esse si impegnano?
Marcos ha spiegato in cosa consiste il tema La Tempesta e il Giorno Dopo, che sarà discusso negli Incontri Internazionali di Ribellione e Resistenza 2024-2025, convocati dalle Assemblee Collettive dei Governi Autonomi Zapatisti (Acegaz), dalle comunità zapatiste e l'EZLN.
Ora, ha proseguito, “si potrebbe pensare che questo scenario non sia nemmeno possibile, e che non sia altro che una brutta sceneggiatura per un brutto film di fantascienza – 'fantascienza': un ossimoro, come 'politico onesto'. Ok, ok, continua sul tuo palco, cavalletto, schermo 8k, piattaforma digitale, laboratorio, accademia.”
Ha sottolineato: “Sono sicuro che disponete di dati concreti - studi comprovati, modelli di simulazione, conteggio delle risorse non rinnovabili, tendenze di consumo e di sostituzione - che questo scenario è 'molto improbabile' - insieme al riscaldamento globale, al cambiamento climatico, alle guerre di riconquista, inquinamento ambientale, genocidi come quello attuale in Palestina; e che ha accesso a indagini del tutto attendibili che dimostrano che le persone sono soddisfatte del loro attuale tenore di vita (quindi è remota anche la possibile insorgenza di rivolte, rivolte, insurrezioni, proteste, saccheggi, rivolte)”. E ha concluso: “Ok, non ti contraddico. 
Tu hai fama e posizione nelle Arti e nelle Scienze, ed io sono solo un povero capitano di fanteria, ora addetto al settore 'Partecipazioni di Nozze, Battesimi, Prime Comunioni, Divorzi, Riunioni, XV anni e... Incontri'. " 


domenica 13 ottobre 2024

DIMENTICANZE, CENSURE E RESISTENZE NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

     Dimenticanze, censure e resistenze nel Sahel



Ci sono persone …. Che dicono ‘No’, quando la maggioranza annuisce con rassegnato disinteresse… 

Che alzano la fronte, quando la maggioranza la inclina… 

Che smettono di credere, quando il credo ufficiale si impone sulla maggioranza… (capitano Marcos)

Il tempo, lo sappiamo, fa il lavoro per il quale è stato inventato. Aiuta a ricordare, dimenticare e ricostruire il passato secondo l’interesse del presente. Qui a Niamey, la capitale del Niger, i primi giorni dagli arresti domiciliari del presidente riconosciuto dalla Comunità Internazionale, Mohammed Bazoum, erano tesi e concitati. Sembrava proprio, come molti hanno notato, il colpo di stato di troppo in questo Paese eppure avvezzo a questa maniera per riattivare la vita politica trovatasi in un’impasse. Nel passato era già accaduto che la guardia presidenziale, al servizio della sicurezza del presidente in carica, lo avesse invece liquidato in modo efferato. Accadde all’aeroporto militare di Niamey il 9 aprile del 1999 e sembra che lo stesso comandante della guardia fosse implicato. 

Abbiamo dunque fatto progressi. E’ bastato rinchiudere il presidente e la sua famiglia nella casa presidenziale perché il colpo di stato militare assuma forma e contenuti poi esplicitati. Chi si trovava nel Paese in quei giorni, ricorda il palpabile timore che le truppe della Comunità economica degli stati occidentali, Cedeao, intervengano per liberarlo. Il tempo, lo sappiamo, fa il lavoro per il quale è stato inventato. Ci si è in fetta dimenticati del presidente imprigionato per passare ad altre cose. Vero, in una recente tribuna, firmata da gente di prestigio, è stata chiesta invano la sua immediata liberazione. In generale si vive, nella capitale e fuori, come se l’illustre prigioniero, fosse scomparso, dimenticato. Con lui altre persone arrestate e detenute da allora per qualche legame reale o presunto con lui e affari attinenti alla sua persona. Scese, senza colpo ferire, la dimenticanza su questa vicenda che l’invisibilità mediatica facilita e amplifica. La dimenticanza ha poi contaminato la democrazia, la partecipazione del popolo e soprattutto la cancellazione dei poveri dall’agenda di chi detiene, al momento, il potere.

Ci sono persone ... Che hanno dei principi, quando la maggioranza inventa alibi… 

Che cercano la verità e la giustizia, mentre la maggioranza si perde. 

Che camminano per trovare, quando la maggioranza siede ad aspettare (capitano Marcos)

Figlia adottiva della dimenticanza è dunque la censura. Essa decide ciò, che personalmente, socialmente o politicamente, debba essere ancora ricordato oppure scomparire, inghiottito dal non accaduto. E’ il caso dell’autocensura nei mezzi di comunicazione, in buona parte degli intellettuali di spicco, nei capi religiosi in perpetua questua di potere, soldi e prestigio dovuto alla prossimità col regime. Ma la prima ad essere compita dalla censura è la giustizia che, funzionale ai detentori del potere, metterà in pratica il detto nel quale si afferma che è vero che ‘la giustizia è uguale per tutti’ ma è altrettanto vero che ‘non tutti sono uguali per la legge’. Lo scriveva opportunamente il novellista George Orwell nella sua metafora ‘la fattoria degli animali’. Accanto alla giustizia la censura contaminerà la politica, percepita come inutile, dannosa o quanto meno irrilevante quando c’è di mezzo l’agognata indipendenza e sovranità.

Ci sono persone... Che vegliano, anche se la maggior parte dormono… 

Che si sacrificano, mentre la maggior parte viene amministrata… 

Che si ribellano, quando la maggioranza obbedisce… (Capitano Marcos)

Il tempo, lo sappiamo, fa il lavoro per il quale è stato inventato. Si potrebbe affermare che è un ‘galantuomo’ perché seleziona ciò che si è in grado di ricordare, ciò che è degno di memoria e ciò che invece va posto nel magazzino sottochiave per la sua pericolosità. Ecco perché un autentico resistente riattiva la memoria ‘sovversiva’ di ciò che è stato e che continua ad essere destabilizzante per il sistema. Resistenti si nasce e si diventa allo stesso tempo. Può accadere per le circostanze o per scelta lungamente meditata e educata da anni di esilio dal pensiero dominante. I ‘resistenti’ si riconoscono, appunto, col tempo, solo garante in questo caso della serietà della resistenza. Uno sguardo differente sulla realtà, l’uso attento e oculato delle parole, la profonda libertà di pensiero e di credo quotidiano e, infine, il rifiuto alle lusinghe del potere che solo la prossimità coi poveri può garantire. Questo e altro offrono a questa insostituibile categoria di persone il diritto di parole e di silenzio. Il futuro del mondo passa tutto tra le le loro mani nude.

Ci sono persone... Che pensano in modo critico, mentre la maggior parte consulta il dogma di moda. 

Che lottano perché è il loro dovere, e non per essere parte della maggioranza… 

Che sono solo una crepa, quando la maggior parte si fanno muro. (capitano Marcos)

            Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2024

 

CICLO SU CA' MAITINO DU SOTTO IL MONTE GIOVANNI XXIII (BG)

 CICLO SU CA' MAITINO DI SOTTO IL MONTE GIOVANNI XXIII (BG)

























martedì 8 ottobre 2024

RITORNO A CASA di Padre MACCALLI A NIAMEY SEI ANNI DOPO di Padre MAURO ARMANINO


Ritorno a casa. P. Maccalli a Niamey sei anni dopo

Dio non è serio ma fa le cose seriamente. Così diceva François, prete della diocesi di Niamey di origine togolese che da muratore si è messo a costruire cristiani. Proprio quello che l’amico e compagno di viaggio padre Pierluigi Maccalli ha cercato di fare come missionario in Costa d’Avorio prima e nel Niger poi. Rapito da elementi della nebulosa jihadista il 17 settembre del 2018 è tornato in terra nigerina, senza catene, la stessa data ma sei anni dopo. In una lettera di commento al suo soggiorno di dieci giorni a Niamey, ospite gradito e inatteso per la circostanza, scrive tra l’altro... ‘La popolazione locale (specie di Bomoanga) è presa tra due fuochi: da una parte le incursioni a carattere jihadista e dall’altra i militari che diffidano di tutti e rastrellano gente accusate di collaborazione. Tra di essi il mio catechista e suo fratello: sono da mesi in prigione con l’accusa gratuita di essere parenti alla lunga di un sospettato. La gioia del ritorno si è trasformata presto in amarezza e tutt’ora custodisco in cuore tanta tristezza. Confesso che l’incontrare tante persone care, dimagrite di peso e dal volto scavato dalla sofferenza, mi ha fatto tanta pena e mi ha molto rattristato’. 

Dio non è serio ma fa le cose seriamente. Così diceva François e l’abbiamo potuto constatare con l’amico Pierluigi. Proprio tra le zone più colpite dalla violenza religiosa, dove è stato rapito un prete, vandalizzata la nuova ‘Basilica dei poveri’, da dove la gente fugge perché minacciata...proprio di questa zona sono originari i due nuovi preti della diocesi. La loro ordinazione è stata il ‘pretesto’ per padre Maccalli per tornare, con le parole dell’ambasciatore italiano a Niamey, sul ...’luogo del delitto’! Tornato a casa piuttosto, faceva osservare Pierluigi che il ‘luogo del delitto’ lo ha vissuto come vittima innocente e inerme per oltre due anni. Ci si ricordava dei tre segni che ha portato con sé dalla prigionia nel deserto del Sahara: una piccola croce di legno, un rosario confezionato con stoffa di fortuna e un anello della catena che l’ha custodito ogni notte per il tempo passato in cattività. Ma c’è un quarto segno che Pierluigi non ha menzionato nel suo scritto post prigionia...’Catene di libertà’.

Dio non è serio ma fa le cose seriamente. Così diceva François, prete della diocesi di Niamey di origine togolese che da muratore si è messo a costruire cristiani. Ed è questo il quarto segno che Pierluigi ha portato a Niamey, dal 17 al 27 settembre scorso. Lui stesso, senza volerlo o saperlo è stato il quarto segno di libertà nel tornare a casa dalla gente che per lui ha sofferto, pregato, sperato e atteso. Il suo popolo rideva, ballava, piangeva e cantava come solo i poveri sanno fare quando fanno festa. Perché Pierluigi e il suo popolo erano tornati liberi e più nessuno potrà mettere in catene la speranza.

           Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2024

Padre Pierluigi Maccalli è stato per due anni prigioniero di estremisti islamici nel Sahel, dal 17 settembre 2018 all'8 ottobre 2020. Il suo rapimento ha segnato il mondo missionario legato alla Società Missioni Africane, l'istituto al quale appartiene.



BENVENUTO|

Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi